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Da Pellestrina e dalla Laguna di Venezia a Eretz Israel 77
Palestina. Delle scialuppe portavano gruppi di una ventina di persone dalla
riva alla nave. Un tutto salirono a bordo circa 450 uomini, 230 donne più di
100 bambini, compresi alcuni neonati. In tutto salirono a bordo 794 per-
sone. Un giorno, una donna incinta sentì arrivare le doglie, era chiaro che
stava per partorire. Il mare era molto mosso, il medico era seduto per terra
e vomitava. Bisognava dare una mano, allora mi recai accanto a lei e provai
a tranquillizzarla. Poco dopo partorì. Presi il piccolo fra le mani, lo lavai con
acqua e così venne al mondo un nuovo migrante. Il numero di passeggeri
era quindi 795! Il neonato era una femminuccia e le diedi il nome “Aliya”
(“salita”, e anche “migrazione verso Israele”). Non ho mai più saputo nulla di
lei, ho provato a rintracciarla più volte, ma senza successo. Lungo il percorso
fummo individuati da aerei inglesi. Prima uno, poi un secondo. Poco dopo
scorgemmo una corazzata. Ci fu data istruzione di non opporre resistenza,
giacché la nave era in cattive condizioni. Tutti erano saliti sul ponte il che
rendeva la situazione ancora più pericolosa. La corazzata ci portò a Haifa, e
da lì i passeggeri, espulsi dagli inglesi furono costretti a salire su un’altra
nave diretta a Cipro. Fu deciso che il medico e l’infermiera sarebbero rimasti
con i clandestini a Cipro, fino alla conclusione dell’avventura, che ovvia-
mente non sapevano quanto sarebbe durata. Il gruppo del Palmach, di cui
ero comandante si nascose in uno “slik” (stanza clandestina piccolissima)
nella prua della nave, sotto la cabina del capitano, e alla sera, addetti alle
pulizie del porto di Haifa ci portarono delle tute uguali alle loro, così che
potemmo uscire dalla nave e sparire nelle strade di Haifa.
La mia impressione degli italiani? Sono pieno di ammirazione per loro. Aiu-
tarono l’emigrazione clandestina con assoluta consapevolezza, sapevano esat-
tamente che cosa succedeva attorno a loro. Quando capirono chi era questa
gente, da dove venisse e dove fosse diretta, il loro atteggiamento fu collabora-
tivo al 100%. Ci fece bene.
Nell’equipaggio del mercantile Silvia Starita vi era poi un giovane di
Pellestrina, Desiderio Ballarin (1921-1966). Marinaio motorista, du-
rante la guerra aveva partecipato a operazioni nel Tirreno con motosi-
luranti ed era stato fatto prigioniero dai francesi e condotto in un
campo di prigionia in Corsica, in condizioni molto dure. Dopo l’8 set-
tembre era riuscito a tornare in Italia e aveva ripreso servizio nella X
Mas. Era stato un suo ex superiore a coinvolgerlo dopo la guerra in
questo lavoro sotto copertura. Giovane, ormai veterano e senza paura,
aveva accettato ben volentieri di seguire il suo superiore in questa av-
ventura. La sua paga, ricordano i familiari, la riceveva a Roma, in qual-
che sede ufficiale, e questo fa pensare che i servizi italiani seguissero
con una certa benevolenza questa operazione dell’Aliya Bet. E’ curioso
notare come ex militi della X Mas lavorassero allora su fronti opposti:
per sabotare il Pan Crescent e per condurre la Silvia Starita! Su
quest’ultima, Desiderio Ballarin era l’unico italiano dell’equipaggio.
Quando la nave fu intercettata dagli inglesi, lo scontro fu duro e ci fu
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)