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                   «Ma come ci arrivano? Mica con quelle barche?» chiesero alcuni.
                   «La nave aspetta al largo, nell’Adriatico» spiegai.
                   Parecchi rimasero lì a guardare, incuriositi dallo spettacolo insolito; altri si
                allontanarono; qualcuno avvisò la polizia. Tutti gli addetti all’imbarco, nel frat-
                tempo, spronavano a salir presto in barca e, infine, verso mezzanotte, i barconi
                si mossero; ma invece di seguire il percorso del Brenta fino al mare, voltarono
                a sinistra, sotto la protezione delle tenebre, ed entrarono nella laguna attra-
                verso il canale di Chioggia.
                   Quando la polizia del luogo, ignara di tutto, giunse sul posto, le barche non
                c’erano già più, né a essi venne in mente di cercarle nella laguna.
                   L’imbarco avvenne in mezzo a un disordine indescrivibile di centinaia di
                persone che tentavano di salire tutte insieme, mentre i bambini piangevano e
                i grandi gridavano, ma la laguna assorbì il gran chiasso.
                   Dal cantiere allo sbocco sul mare aperto, v’erano due ore e mezzo di navi-
                gazione e il passaggio obbligato, proprio alla fine del percorso, era sotto la
                torretta di guardia della Finanza; perciò la nave si mosse, nonostante che la
                coperta fosse ancora affollata, per poter uscire dalla laguna prima che l’alba
                sorgesse.

                   Dopo  qualche  giorno,  il  quotidiano  locale  tracciava  un  quadro
                dell’evento, un po’ pittoresco e di maniera ma non lontano dalla realtà, in
                un articoletto di due colonne intitolato L’esodo notturno di mille ebrei  :
                                                                                42

                   Nel fitto e nebbioso buio dell’altra notte una lunga colonna di trenta torpe-
                doni scivolante nell’ombra a lumi spenti e a ridotta andatura sostava in una
                deserta  zona  costiera  tra  Chioggia  e  Cavarzere.  Trattenendo  il  respiro  nel
                grande silenzio solo interrotto dal secco frusciare degli alberi spogli, scossi a
                tratti  dal  gelido  soffiare  del  vento,  una  piccola  folla,  composta  di  uomini,
                donne, vecchi e bambini – circa un migliaio di persone – ne scendeva intabar-
                rata e rabbrividente e s’avviava, a gruppi, senza far motto, come per una muta
                precedente intesa, verso le non lontane sponde del fiume Gorzone.
                   Non una stella nel cielo fosco e tenebroso. Non una fiaccola in quelle gelide
                mani strette sull’esiguo bagaglio o congiunte in un gesto di fervida preghiera.
                   Al Gorzone, c’erano alcune motobarche in attesa. I fantomatici viaggiatori
                vi si sono diretti e in breve la scena - poc’anzi tutta pervasa di un arcano senso
                di fatalità – ridiveniva ferma e deserta, nello spegnersi lontano verso il mare
                aperto dell’ultima voce di motori.
                   Solo il giorno seguente - rinvenuti sul posto, abbandonati, i torpedoni re-
                canti gli uni le targhe di Genova e gli altri quelle di Torino – il romanzesco, se
                non addirittura leggendario notturno ha trovato realistica spiegazione in un
                clandestino esodo di ebrei, i quali – raggiunto il mare – hanno presumibil-
                mente preso imbarco su di un piroscafo in attesa facendo quindi rotta per la
                Palestina.



                   42  «Il Gazzettino di Venezia», 12 novembre 1947.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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