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608 Matteo Giuli
Pane e companatico: la divisione tra cantine e osterie
A non molta distanza da piazza San Michele, sorgeva un altro ele-
mento fondamentale del mercato annonario lucchese, ossia la citta-
della, un vasto complesso di edifici contenenti le attrezzature
necessarie alla conservazione dei cereali, alla molitura del frumento e
alla panificazione. Tali attività avevano un’importanza decisiva per la
Repubblica, non solo dal punto di vista alimentare, ma anche fiscale.
A Lucca, infatti, la produzione del pane venale, destinato a essere ven-
duto agli abitanti della città e delle Sei Miglia, era sottoposta a mono-
polio statale, gestito sotto forma di «jus privativo» dall’Offizio sopra
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l’Abbondanza .
Esso doveva essere «della megliore qualità possibile» – in conformità
dei dettami dell’economia morale – e messo in vendita ad un costo
accessibile, eticamente accettabile e indipendente dall’andamento del
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mercato . D’altra parte quello di pane – almeno nelle società mediter-
ranee – era un bisogno primario e irrinunciabile, talmente radicato a
livello popolare che la sua domanda sul mercato non era affatto ela-
stica, ma si manteneva sugli stessi livelli anche nei periodi di infla-
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zione . Il prezzo del pane quindi, secondo un meccanismo assai diffuso
nelle realtà di Antico Regime, non veniva stabilito in relazione al costo
del grano, ma nei limiti del possibile era mantenuto su livelli normali
49 Mentre la produzione del pane venale era sottoposta a monopolio statale e dun-
que poteva essere effettuata soltanto all’interno della cittadella, quella destinata
all’autoconsumo era permessa: i forni privati avevano la possibilità di panificare il
grano che i clienti vi portavano per proprio consumo, oppure, e più semplicemente,
di cuocere il pane crudo precedentemente lavorato a domicilio. Nel 1663 e nel 1689,
fu fatto un tentativo per appaltare ai privati il commercio del pane, ma i risultati si
rivelarono modesti, sia per le casse dello Stato, sia per la qualità del prodotto messo
in vendita. Di questa possibilità si tornò a discutere nel 1730 e nel 1767, ma sia la
proposta di mettere nuovamente in vendita il provento della cittadella, sia il progetto
di gestirne i forni e i mulini secondo un regime di compartecipazione tra lo Stato e i
privati restarono, alla prova dei fatti, lettera morta. Cfr. M. Giuli, Il governo di ogni
giorno cit., pp. 78-94. Più in generale, sui rapporti tra commercio del pane e fisco in
Antico Regime, si veda E.C. Colombo, Dalla finanza al consumo. Note sulla panifica-
zione nelle campagne della Lombardia spagnola, in G. Archetti (a cura di), La civiltà
del pane. Storia, tecniche e simboli dal Mediterraneo all’Atlantico, Fondazione CISAM,
Spoleto, 2015, pp. 801-818.
50 Asl, Libri di corredo alle carte della Signoria, n. 2, c. 15rv.
51 E.P. Thompson, Società patrizia, cultura plebea cit., pp. 69-80; M. Montanari, La
fame e l’abbondanza cit., pp. 62-67, 130-135; D. Gentilcore, II pane nell’Europa
moderna tra dietetica e alimentazione (sec. XVI-XVIII), in G. Archetti (a cura di), La civiltà
del pane cit., pp. 1131-1150; C. Bargelli, Dal necessario al superfluo. Le arti alimentari
parmensi tra medioevo ed età moderna, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 17-72, dove
si evidenzia la «tirannia del necessario» rappresentata dal «binomio pane-vino» a livello
alimentare.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017 n.41
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)