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Ruolo e implicazioni della politica annonaria a Lucca in età moderna 609
anche nei periodi di scarsità cerealicola. In questo modo, dal momento
che per ovvie ragioni di bilancio era preferibile evitare di «spianare a
perdita», ossia di panificare con costi di produzione superiori alle pro-
spettive di incasso, l’espediente maggiormente diffuso era quello di
diminuire il peso del prodotto finale: in sostanza, se il valore commer-
ciale del frumento aumentava, non era il prezzo del pane ad alzarsi ma
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il suo peso ad abbassarsi .
Per il governo lucchese, cercare di garantire la qualità del pane
significava provare a renderlo ancora più appetibile rispetto a quello
che i sudditi potevano trovare sul mercato privato clandestino a disca-
pito delle finanze statali, così come significava, in secondo luogo, pro-
muovere la tranquillità pubblica. Tra gli obiettivi che l’Offizio sopra
l’Abbondanza intendeva raggiungere attraverso questo monopolio, vi
era infatti anche quello di prevenire eventuali situazioni di malcon-
tento nei confronti di tutta quella categoria di attori economici (pro-
duttori e rivenditori in particolare) che veniva spesso sospettata di
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compiere frodi e alterazioni sulla qualità del prodotto . Avocando a sé
la panificazione venale, il governo lucchese cercava così di farsi
garante dell’onestà e della correttezza di tutti coloro che erano impe-
gnati all’interno di questo fondamentale settore alimentare. Si trat-
tava, di nuovo, di promuovere un rapporto di fiducia reciproca sul
mercato annonario.
Dopo essere stato preparato nei forni della cittadella, il pane veniva
messo in vendita in tre botteghe pubbliche chiamate canove, a cui sia
gli abitanti del centro urbano sia quelli delle Sei Miglia erano obbligati
a rivolgersi. Esse erano situate nel cuore di Lucca, rispettivamente in
piazza San Michele, nel retrostante terziere di San Salvatore e presso
Porta dei Borghi, in fondo alla principale strada della città, la centra-
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lissima via Fillungo .
52 Asl, Consiglio Generale, n. 166, pp. 429-431; n. 167, pp. 292-294; n. 169, pp. 29-
30. L’abbassamento del peso del pane era un espediente diffuso in molte aree italiane
dell’epoca: A.M. Pult Quaglia, «Per provvedere ai popoli» cit., pp. 17-18, 143; S. Laudani,
Pane, politica e consenso cit., pp. 424-430; M. Martinat, Le juste marché cit., pp. 239-
241; I. Fazio, «Sterilissima di frumenti» cit., pp. 14-15, 100; A. Guenzi, Il frumento e la
città: il caso di Bologna nell’età moderna, «Quaderni storici», n. 46/1 (1981), pp. 153-
167; I. Mattozzi, Il politico e il pane a Venezia (1570-1650): calmieri e governo della sussi-
stenza, «Società e storia», n. 20 (1983), pp. 271-303; V. Reinhardt, Il prezzo del pane a
Roma e la finanza pontificia dal 1563 al 1762, «Dimensioni e problemi della ricerca sto-
rica», n. 2 (1990), pp. 109-134.
53 Sulla diffidenza delle masse popolari verso chi era implicato nella produzione e nella
vendita del pane, si veda, più specificamente, S.L. Kaplan, Le meilleur pain du monde.
e
Les boulangers de Paris au XVIII siècle, Fayard, Paris, 1996, pp. 449-497, 576-578.
54 Al di là delle Sei Miglia, nelle vicarie del contado lucchese, invece, il commercio del
pane era slegato dal diretto controllo del governo e dipendeva piuttosto dai vari statuti
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)