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Ruolo e implicazioni della politica annonaria a Lucca in età moderna  613



             volgendo in maniera attiva, anche se non esclusiva, i religiosi locali,
             soprattutto i regolari, accusati di aver trasformato i monasteri e le
             canoniche in squallide bettole per debosciati, di dar da mangiare pane
             di propria produzione, di offrire pasti caldi e di compiere incette spe-
             culative nella compravendita del vino. Su tali problemi, governo e dio-
             cesi di Lucca arrivarono allo scontro aperto, coinvolgendo persino la
             Congregazione dell’Immunità di Roma, senza però riuscire a trovare
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             alcun accordo di reciproca soddisfazione . Da una parte, si continuava
             a sottolineare la necessità di difendere «il ben publico et universale
             dello Stato», verso cui anche i religiosi, vincolati dal loro «spirito di
             carità», avrebbero dovuto essere inclinati per «naturale obligazione»;
             dall’altra, si rimarcava piuttosto l’esigenza di salvaguardare l’immunità
             e gli interessi del clero, asserendo che le leggi contro la panificazione
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             venale dei religiosi erano «lesive della libertà ecclesiastica» .
                Tale conflitto assunse dunque una valenza non solo economica, ma
             anche giurisdizionale. A parere del governo di Lucca, per trovare ade-
             guati sbocchi commerciali alle loro rendite cerealicole, gli ecclesiastici
             non avevano affatto bisogno di trasformare in pane venale il grano delle
             loro proprietà, ma potevano benissimo limitarsi a immetterlo sul mer-
             cato direttamente in natura, «in specie», e secondo il prezzo «com-
             mune»; volendo invece continuare «a convertire il grano in pane e quello
             vendere», essi dimostravano di essere guidati soprattutto dal «prurito
             dell’interesse» e dal «desiderio di lucro», senza avere remore nell’offrire
             «occasioni di scandalo» al popolo, che avrebbe potuto emularne le tra-
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             sgressioni .
                Dal canto loro, però, i religiosi locali respingevano con fermezza
             tutte queste accuse, facendosi forti di una sentenza emanata dalla
             Congregazione dell’Immunità nel 1678, secondo cui le attività vietate
             in quanto indecenti per l’«habito clericale» non comprendevano affatto
             la vendita di pane derivato da cereali «di proprio raccolto»; inoltre, dal
             momento che nella Repubblica gli ecclesiastici possedevano «due terzi
             de’beni» e avevano rendite «per lo più in grano», essi mettevano in rilievo
             che le pretese del governo avrebbero potuto innescare conseguenze
             negative sulle loro stesse condizioni economiche, fino a ridurli in uno
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             stato di «estrema povertà» .



                63  A tal proposito esistono due documenti fondamentali, il «Sunto o manifesto dei
             fatti» e il «Sunto o manifesto di ragione» di quanto «seguito nel negotio di Roma per lo
             spiano del pane», entrambi conservati in Asl, Consiglio Generale, n. 399, pp. 53-131.
                64  Asl, Consiglio Generale, n. 397, pp. 134-152; n. 399, pp. 87-90; Asl, Offizio sopra
             l’Abbondanza, n. 388, cc. 32r-33r, 50r-51r; Asl, Offizio sopra la Giurisdizione, n. 53, III,
             cc. 130r-184v; VII, cc. 1r-41v.
                65  Asl, Consiglio Generale, n. 399, pp. 112-113.
                66  Asl, Offizio sopra la Giurisdizione, n. 53, III, cc. 130r-184v.


             n.41                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
                                                      ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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