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              Appare chiaro, quindi, che sullo sfondo di tale vertenza si proiettava
           la cruciale necessità, per lo Stato e per la Chiesa di Lucca, di assicurare
           un solido sbocco commerciale alle rispettive risorse cerealicole. Tale
           situazione,  peraltro,  era  ulteriormente  complicata  dal  fatto  che  gli
           stessi nobili che governavano la Repubblica, in quanto cittadini con
           spiccati interessi nella mercatura, volevano anch’essi partecipare agli
           utili che derivavano dal commercio alimentare. È questa una delle
           ragioni che spinsero il patriziato lucchese a rifiutare le proposte, per-
           venutegli dal clero, di vietare ai privati le importazioni cerealicole, solu-
           zione che avrebbe permesso all’Offizio sopra l’Abbondanza di smaltire
           con più facilità i grani conservati nei magazzini dello Stato. Un simile
           provvedimento infatti, come fu sperimentato tra gli anni Trenta e Qua-
           ranta del Seicento, oltre a rischiare di causar penuria di cereali sui cir-
           cuiti  commerciali  di  Lucca,  avrebbe  leso  anche  gli  interessi  dei
           mercanti coinvolti in tali importazioni, di cui proprio gli uomini del-
                                                                       67
           l’aristocrazia locale rappresentavano la parte più consistente .
              C’è poi da rimarcare un altro aspetto, ossia il fatto che i nobili luc-
           chesi avevano interessi cospicui non solo nella mercatura, ma anche
           nella proprietà fondiaria. Ciò voleva dire che pure loro, e non soltanto
           i religiosi, avevano la necessità di assicurare degli sbocchi commerciali
           sicuri alle proprie rendite agricole e in particolare ai prodotti cerealicoli.
           Si tratta evidentemente di un punto cruciale, da cui possono scaturire
           ulteriori ipotesi interpretative anche per quanto riguarda l’origine e la
           qualità degli interessi privati che gravitavano attorno alla panificazione
           venale. Quest’ultima attività infatti, oltre ai religiosi e ai sudditi, coin-
           volse assai presumibilmente pure gli aristocratici, ossia quegli stessi
           individui che, in qualità di membri del governo, provvedevano a legife-
           rare costantemente a difesa del monopolio statale e degli interessi com-
           merciali delle canove cittadine.
              In una realtà annonaria come quella lucchese, dove il paternalismo
           politico legato all’economia morale e alla carità pubblica sembra stridere
           con l’urgenza degli interessi personali gravitanti attorno alla produzione
           agricola e al mercato cerealicolo, è allora ipotizzabile che questo duro
           scontro col clero in materia di produzione di pane per fini commerciali
           sia stato utilizzato dai membri del governo perfino in maniera strumen-
           tale, ossia per mascherare le proprie esigenze private di nobili mercanti
           e proprietari: la forte accentuazione data alle infrazioni commesse dai
           religiosi locali nella vendita del pane – di cui resta una poderosa docu-
           mentazione archivistica – poté cioè servire al patriziato lucchese anche





              67  Asl, Consiglio Generale, n. 399, pp. 71-73, 126-129.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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