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Una strada, due regge, una mappa: la committenza di don García Álvarez de Toledo 565
da ricondurre forse all’architetto Calamecca, forse allo stesso viceré:
mi riferisco alla precisa volontà di impiegare per la realizzazione
delle finestre di questi due ambienti pietra proveniente dalla lontana
Siracusa, la cosiddetta pietra bianca iblea, un calcare tenero da
sempre molto apprezzato sia per il suo colore chiaro sia per la facilità
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di lavorazione che consentiva intagli finemente scolpiti . Nel set-
tembre del 1566, da Sciacca, dove si era recato per beneficiare di un
soggiorno termale – sarebbe ricorso alle terme in più di una occasione
per fronteggiare il peggioramento delle sue condizioni di salute 56 –, il
viceré si affrettava a ordinare ai funzionari governativi della città
aretusea di predisporre 300 conci destinati agli elementi intagliati
delle finestrature della reggia, indicandone in dettaglio le dimen-
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sioni : una volta giunti in cantiere a Messina, l’architetto Giovanni
del Mastro avrebbe proceduto alla stima dei «cantoni di Siracusa
che hanno di serviri per li finestri di la quadra et di la sala di lo
Regio Palazo» al fine di consentirne il pagamento da parte della Corte
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ai fornitori .
Se, dunque, va ricondotta all’iniziativa di don García la costruzione,
a partire da vecchie fabbriche, dell’ala orientale della residenza vicereale
e degli importanti ambienti in essa ospitati, va segnalato come nel
marzo del 1567 già altre parti del nuovo palazzo fossero in costruzione.
Carlo Aragona Tagliavia, che in quei mesi sostituiva il viceré lontano,
da un lato manifestava la sua soddisfazione per quanto riferitogli ri-
guardo all’appartamento (quarto) che «si fa de novo verso Terranova,
chi tuttavia incomencza ad crixiri et appariri multo bello», dall’altro
non nascondeva al secreto messinese la sua preoccupazione per il re-
55 È probabile, tuttavia, che nella città messinese vi fosse già una qualche consuetu-
dine all’utilizzo di tale materiale se nel 1486 il noto scultore-architetto Antonello Freri si
impegnava ai marammieri del convento di San Francesco per la costruzione di un chio-
stro con arcate in pietra di Siracusa su colonne marmoree; D. Ciccarelli, San Francesco
all’Immacolata di Messina, Officina di Studi Medievali, Palermo, 2008, p. 26. D’altronde,
questa sarebbe divenuta, già a partire dal Seicento, assai diffusa a Messina tanto da far
capolino più volte nelle descrizioni settecentesche delle principali fabbriche cittadine;
C.D. Gallo, Annali della città di Messina..., per Francesco Gaipa, Messina, 1756, passim.
Infine, ancora nella prima metà del XIX secolo, riguardo alla cosiddetta pietra di Siracusa
si sarebbe segnalato che di essa «si fa uso per fabbriche non solo in questa città, ma in
Messina, Catania ecc.»; J. Power, Guida per la Sicilia, Stabilimento poligrafico di Filippo
Cirelli, Napoli, 1842, p. 120.
56 Ad esempio nel giugno del 1568, quando dinanzi all’aggravarsi delle sue condizioni
si recò per alcuni giorni a Bagni San Filippo, nei dintorni di Siena; J. Bosch Ballbona,
Nápoles, Pozzuoli, Villafranca, sin Pedro de Toledo, in E. Sánchez García (a cura di), Rina-
scimento meridionale cit., pp. 653-706, alle pp. 671-672.
57 Aspa, Tribunal del Real Patrimonio, Lettere viceregie, reg. 528, c. 35r.
58 Ivi, cc.n.n.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)