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                popolazione di nemmeno 30.000 abitanti. Questi numeri possono ap-
                parire elevati se rapportati ai giorni nostri, ma così non doveva essere
                per una realtà d’antico regime: a Piacenza nel 1828, su una popola-
                zione di 30.000 abitanti, si contavano 123 rivenditori di vino e 75 di
                liquori, mentre a Parma nel 1835 erano attive più di 200 rivendite di
                vino al minuto e bettole su un totale di 800 ditte commerciali regi-
                strate presso la locale Camera di commercio .
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                   Se il proliferare degli esercizi destinati alla vendita e alla degusta-
                zione del vino indica in maniera inequivocabile la diffusione del suo
                consumo  nelle  città,  suggerisce  altresì  l’importanza  assunta  dalle
                osterie nella vita sociale del passato. Luogo di incontro e di sociabilità
                per eccellenza dei lavoratori, ma non solo, se prestiamo fede al varie-
                gato mondo che anima i Brindes di Carlo Porta ancora agli inizi del
                XIX secolo, fin dal medioevo le osterie avevano infatti svolto una serie
                di altre funzioni, in primis quella di offrire ospitalità agli stranieri che
                giungevano in città. L’oste non si limitava quasi mai a fornire soltanto
                vitto  e  alloggio  ai  nuovi  venuti,  ma  offriva  loro  anche  altri  servizi:
                «oltre allo stallaggio dei cavalli, degli asini e dei muli, egli è sovente
                autorizzato a compravenderli; tiene il deposito delle merci che il mer-
                cante ha portato con sé, ha acquisito sul posto, o ha commissionato
                da fuori e son pervenute in sua assenza; concede prestiti e dà malle-
                vadorie sulla piazza dov’è ben conosciuto, mentre il suo avventore ha
                ancora bisogno di tempo per rendersi noto e acquistare fama di per-
                sona solvibile. Oltre ad assistere agli affari stipulati nel suo locale…
                funge da testimone e, talora da arbitro» .
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                   Gli osti si trasformavano quindi di volta in volta in interpreti, in-
                termediari e addirittura collaboratori dei loro clienti. Nel caso coma-
                sco, ad esempio, gli osti divennero veri e propri referenti per i mer-
                canti di origine tedesca che si muovevano lungo gli itinerari che dalla
                pianura  padana  risalivano  il  lago  per  inoltrarsi  sui  mercati  d’ol-
                tralpe . La centralità assunta dalle osterie come luogo d’incontro e
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                di riferimento per gli “stranieri” che giungevano in città, mercanti o
                vagabondi  che  fossero,  suscitò  da  subito  l’attenzione  e  l’interesse



                   10  Cfr. S. Levati, Cremona dalla Restaurazione all’Unità: una città in lento mutamento,
                in G. Chittolini (a cura di), Storia di Cremona, vol. III, Dalla restaurazione all’età gioli-
                tiana, a cura di M.L. Betri, Banca Cremonese, Cremona 2005, pp. 2-43; Id., La lenta e
                tortuosa via alla modernità: la società piacentina tra ancien régime ed unità, in A. Moioli
                (a  cura  di),  Storia  economica  e  sociale  di  Piacenza,  vol.  II,  Dai  Borbone  alla  vigilia
                dell’Unità d’Italia (1732-1861), Tip. LE.Co, Piacenza 2011, pp. 199-261.
                   11  M. Berengo, L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra medioevo
                ed età moderna, Einaudi, Torino 1999, pp. 517-518.
                   12  S. Duvia, «Restati eran thodeschi in su l’hospicio» cit., p. 59 sgg



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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