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                2. Le origini degli osti

                   Le non molte informazioni e testimonianze di cui disponiamo ri-
                guardanti l’Italia settentrionale lasciano intravedere uno stretto le-
                game tra alcuni flussi migratori e l’esercizio di attività collegate al
                commercio dei vini. Studiando l’emigrazione a Torino nel corso del
                XVIII secolo, ad esempio, Giovanni Levi segnala la forte caratterizza-
                zione professionale dei numerosi migranti provenienti da Viù, nella
                Valle di Lanzo, che giungevano in città per praticare tre professioni:
                operai di fatica (servi, facchini...), brentadori (facchini che trasporta-
                vano vino con le brente che portavano in spalla) e osti . Tre mestieri
                                                                     18
                che  disegnano  quasi  una  precisa  gerarchia  del  successo  del  mi-
                grante: manodopera generica, addetti al trasporto del vino e, infine,
                dopo essersi impratichiti del mestiere, aver conosciuto le reti di ap-
                provvigionamenti e aver messo da parte qualche soldo, mescitori di
                vino. Nella Genova cinquecentesca, accanto ai facchini del porto, la
                presenza «più dirompente» di lavoratori immigranti in città era rap-
                presentata  dalla  rete  «dei  tavernieri  e  degli  osti  che  congiunge,  da
                occidente a oriente, centri del luganese (Melide, Cressogno, Casasco),
                del Comasco (Menaggio, Rezzonico, Mandello, ecc.), Brembill[a] nel
                Bergamasco  e  che  ha  nel  milanese  (Senago)  un’ulteriore  propag-
                gine» . «Ancora nel 1556 tra le 47 osterie autorizzate ad accogliere
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                forestieri extra-Dominio non poche ripetono cognomi di Lombardi già
                titolari di taverne nel ‘400» .
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                   Anche nella Mantova studiata da Belfanti la professione di oste
                sembra essere una delle attività più praticate dai migranti. Sulla base
                di due censimenti avviati dalle autorità gonzaghesche sugli stranieri
                residenti in città risulta che «Gli immigrati che svolgono questa atti-
                vità sono 32 [su 2642 immigrati] nel 1658 e 27 [su 626] nel 1712:
                non  si  ha  la  possibilità  di  confrontare  questa  cifra  con  il  numero
                complessivo delle osterie esistenti in città, ma il dato sembra signifi-
                cativo»,  di  una  forte  relazione  tra  mestiere  e  migrazione .  Quanto
                                                                         21
                alla  provenienza,  circa  un  quarto  era  originario  del  Trentino,  area


                questo tema ho espresso in Vino, osti e osterie nell’Italia centro-settentrionale tra XVIII e
                XIX secolo cit., pp. 235-247.
                   18  G. Levi, Centro e periferia di uno stato assoluto. Tre saggi su Piemonte e Liguria in
                età moderna, Rosenberg & Sellier, Torino 1985, p. 51.
                   19  G. Casarino, L’immigrazione a Genova di maestranze e apprendisti dell’alta Lom-
                bardia (XV-XVI secolo), «Bollettino di demografia storica», n. 19, 1993, pp. 93-107, cit.
                p. 102.
                   20  Ivi, p. 95.
                   21  C.M. Belfanti, Immigrazione ed economia urbana cit., p. 62.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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