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                potigha» e, per questa «strecta pratica e conversatione pubblica», li
                ritenevano «amici et innamorati» 100 . Anche nel nuovo luogo di abita-
                zione l’uomo era stato visto entrare più volte in casa di Caterina e la
                vox populi lo aveva identificato prima come «compare» e poi come «co-
                gnato» della donna, che infine aveva detto trattarsi del notaio Ver-
                nazza 101 .
                   Caterina aveva dichiarato di conoscere il notaio da 23 anni, poiché
                era suo vicino e aveva l’abitudine di «intrare et nescire dalla casa et
                potiga  di  essa»;  inoltre,  11  anni  prima  il  suo  sospetto  amante  era
                stato padrino del battesimo della figlia Rosa. Infine, aveva riferito che
                quando abitava al Capo «hebbe differenza» con la moglie di Vernazza,
                che aveva vietato al marito di entrare a casa sua, ma aveva negato di
                avere intrattenuto con lui «amicitia carnale», affermando invece che
                lo aveva «servito» 102 . Il Vernazza, che al momento dell’interrogatorio
                si trovava recluso nelle carceri arcivescovili, aveva negato risoluta-
                mente la relazione con Caterina Musca, ma aveva ammesso di cono-
                scerla da lungo tempo e di avere frequentato la sua abitazione, poiché
                erano stati vicini di casa, e di avere mangiato assieme a lei una sola
                volta, in presenza del marito 103 .


                7. Pronunciamenti sui conflitti di competenza: il caso della giu-
                    risdizione melitense

                   In  un  complicato  reticolo  di  giurisdizioni  particolarmente  critici
                erano gli intrecci che coinvolgevano il foro dei Cavalieri di San Gio-
                vanni. Più volte nel corso del XVII secolo il Tribunale della Regia Mo-
                narchia dovette pronunciarsi proprio su conflitti di competenza sol-
                levati dall’Ordine di Malta.
                   Nel 1606, un procedimento per motivi di competenza fu sollevato
                da fra Nicolò La Manna, procuratore e “ricevitore” dell’Ordine. Infatti,
                ufficiali della Corte arcivescovile avevano tratto in arresto e recluso
                nella carceri laiche del “nuovo edificio” i cavalieri Giacomo Marchese,
                Carlo Valdina e Giovanni Battista Arcabascio, accusati di un «insulto
                con scopettonati et feriti» contro don Ruggero Settimo. Erano stati
                catturati dentro la chiesa della Magione su ordine dell’arcivescovo,
                che si era premunito di una disposizione del viceré, duca di Feria,
                che stabiliva che non fossero scarcerati se non per suo ordine; in


                   100  Testimonianza di Vincenzo Pirrello, ivi, carte non numerate; cfr. anche le te-
                stimonianze a questa conformi di Luciano Cavea e Paolo Bergamini, ivi, carte non
                numerate.
                   101  Testimonianza di Ninfa Di Peri, ivi, carte non numerate.
                   102  Interrogatorio di Caterina Musca, ivi, carte non numerate.
                   103  Interrogatorio di Tommaso Vernazza, ivi, carte non numerate.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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