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746 Michele Lupo Gentile
so quanti fichi d’India, di quelli molto gustosi e profumati, i cosiddetti
bastarduna, di cui mi sapeva ghiottissimo. C’è mancato poco ch’io non
andassi all’altro mondo! Non potendo più soddisfare i miei bisogni na-
turali, avevo dei dolori di ventre fortissimi. Mio padre, uomo pratico e
spicciativo, invece di allarmarsi e chiamare i dottori, verso i quali non
aveva punto simpatia, volle provvedere da sé alla bisogna, facendomi
un’operazione chirurgica molto semplice con un rustico cavicchio, che
senza recarmi alcun dolore, mi liberò del grave pondo. Oggi natural-
mente i sanitari inorridirebbero contro simili sistemi contrari alla te-
rapia scientifica! Dopo l’operazione mi rifilò un diretto al mento che mi
fece urlare come un dannato, e si mise a scazzottare la cugina, sten-
dendola a terra secca come un chiodo.
Risanato, fui mandato con mia sorella ed altri familiari a cambiare
aria, ai Pedagni [una contrada di Castelbuono a circa m. 600/slm], in
una casetta rustica, ma pulita, proprio alle falde delle Madonie, da dove
si gode un panorama magnifico. Dopo due giorni che me ne stavo lì, a
sorbire a larghi sorsi l’aria pura e balsamica dei monti, capitò un episo-
dio che fece su di me un’impressione terribile. E tuttora ne risento le
conseguenze. Una notte si scatenò improvvisamente un gran temporale
con tuoni, lampi frequentissimi e saette. Apriti cielo! Sembrava di essere
in una bolgia infernale. Mia sorella e tutti gli altri familiari balzano dal
letto esterrefatti, chiudono ermeticamente ogni cosa, spengono la luce
scialba di una candela a olio che pendeva dal soffitto e si mettono a
gridare, tenendo me, infagottato come un salume, fra le braccia: «Santa
Barbara, non tronate, salvateci, salvateci». Poi s’inginocchiano e si met-
tono a recitare le litanie dei Santi, gemendo e lacrimando. Io, che vedevo
quelle facce stravolte, e che sentivo quei lamenti e quelle invocazioni,
stavo muto e tremante senza fiatare; credevo proprio che stesse per ve-
nire il finimondo. Per fortuna tutto cessò dopo mezz’ora, tornò il sereno
e l’allegria; ma l’impressione fu tale che d’allora in poi, quando scoppia
un temporale, coi relativi tuoni, io perdo la bussola. Se di notte, mi alzo,
levo la corrente elettrica, chiudo bene le finestre e sveglio tutti i miei
perché stiano in guardia per quel che potrebbe capitare (…).
È un bel dire, a mente serena, ch’è una sciocchezza aver paura dei
lampi e dei tuoni: ormai è rimasta in me radicata, sino alle midolla,
quell’impressione e non riesco a vincermi; il pensiero in quella circo-
stanza è sempre a Santa Barbara anche se di questa santa non cono-
sco la vita e i miracoli. Aveva ragione il grande pedagogista Giuseppe
Lombardo Radice quando affermava che le impressioni dell’infanzia
restano indelebili per tutta la vita. D’altra parte questa impressione di
paura di fronte ai fenomeni naturali non mi ha impedito, durante la
grande guerra, di fare il mio dovere di soldato, senza avere paura del
nemico, né m’impedisce oggi, quando capita, di mollare delle sberle
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)