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                so quanti fichi d’India, di quelli molto gustosi e profumati, i cosiddetti
                bastarduna, di cui mi sapeva ghiottissimo. C’è mancato poco ch’io non
                andassi all’altro mondo! Non potendo più soddisfare i miei bisogni na-
                turali, avevo dei dolori di ventre fortissimi. Mio padre, uomo pratico e
                spicciativo, invece di allarmarsi e chiamare i dottori, verso i quali non
                aveva punto simpatia, volle provvedere da sé alla bisogna, facendomi
                un’operazione chirurgica molto semplice con un rustico cavicchio, che
                senza recarmi alcun dolore, mi liberò del grave pondo. Oggi natural-
                mente i sanitari inorridirebbero contro simili sistemi contrari alla te-
                rapia scientifica! Dopo l’operazione mi rifilò un diretto al mento che mi
                fece urlare come un dannato, e si mise a scazzottare la cugina, sten-
                dendola a terra secca come un chiodo.
                   Risanato, fui mandato con mia sorella ed altri familiari a cambiare
                aria, ai Pedagni [una contrada di Castelbuono a circa m. 600/slm], in
                una casetta rustica, ma pulita, proprio alle falde delle Madonie, da dove
                si gode un panorama magnifico. Dopo due giorni che me ne stavo lì, a
                sorbire a larghi sorsi l’aria pura e balsamica dei monti, capitò un episo-
                dio che fece su di me un’impressione terribile. E tuttora ne risento le
                conseguenze. Una notte si scatenò improvvisamente un gran temporale
                con tuoni, lampi frequentissimi e saette. Apriti cielo! Sembrava di essere
                in una bolgia infernale. Mia sorella e tutti gli altri familiari balzano dal
                letto esterrefatti, chiudono ermeticamente ogni cosa, spengono la luce
                scialba di una candela a olio che pendeva dal soffitto e si mettono a
                gridare, tenendo me, infagottato come un salume, fra le braccia: «Santa
                Barbara, non tronate, salvateci, salvateci». Poi s’inginocchiano e si met-
                tono a recitare le litanie dei Santi, gemendo e lacrimando. Io, che vedevo
                quelle facce stravolte, e che sentivo quei lamenti e quelle invocazioni,
                stavo muto e tremante senza fiatare; credevo proprio che stesse per ve-
                nire il finimondo. Per fortuna tutto cessò dopo mezz’ora, tornò il sereno
                e l’allegria; ma l’impressione fu tale che d’allora in poi, quando scoppia
                un temporale, coi relativi tuoni, io perdo la bussola. Se di notte, mi alzo,
                levo la corrente elettrica, chiudo bene le finestre e sveglio tutti i miei
                perché stiano in guardia per quel che potrebbe capitare (…).
                   È un bel dire, a mente serena, ch’è una sciocchezza aver paura dei
                lampi e dei tuoni: ormai è rimasta in me radicata, sino alle midolla,
                quell’impressione e non riesco a vincermi; il pensiero in quella circo-
                stanza è sempre a Santa Barbara anche se di questa santa non cono-
                sco la vita e i miracoli. Aveva ragione il grande pedagogista Giuseppe
                Lombardo Radice quando affermava che le impressioni dell’infanzia
                restano indelebili per tutta la vita. D’altra parte questa impressione di
                paura di fronte ai fenomeni naturali non mi ha impedito, durante la
                grande guerra, di fare il mio dovere di soldato, senza avere paura del
                nemico, né m’impedisce oggi, quando capita, di mollare delle sberle





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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