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                Algeri «con cento cinquanta mila crosoni [pezzi da 8 reali] e riscatta
                almeno schiavi 300». Niente da fare. «Di noi poveri soldati milanesi non
                ne vogliono sentir parlare per lo nostro riscatto, con dir che non siamo
                di  nazione  spagnola»,  lamentavano  nella  supplica  al  Senato,  nono-
                stante che «abbiamo perduta la libertà valorosamente in servizio di
                S.M.C. [Sua Maestà Cattolica]». Nel frattempo, però, «li SS. Capitani
                già si sono francata la libertà» . Le circostanze attestate dai suppli-
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                canti, vale a dire che il governo spagnolo nei riscatti stava applicando
                un rigido criterio di nazionalità e che la loro condizione di proletari
                militari li escludeva dalla possibilità di riscattarsi da sé (come verosi-
                milmente avevano fatto i loro ufficiali), impose al governo milanese di
                provvedere a questi sudditi che evidentemente ricadevano nella con-
                dizione  di  captivi  poveri,  bisognosi  del  soccorso  pubblico;  catturati,
                oltretutto, mentre in armi assolvevano al regio servizio. Al Governatore
                di Milano si chiese di interessare personalmente la regina della cosa,
                mentre gli organismi dell’amministrazione centrale e locale milanese,
                quali ad esempio la Congregazione di stato, erano invitati a potenziare
                la raccolta di elemosina.
                   Null’altro  si  conosce  di  questa  vicenda  dalla  quale  si  può  trarre
                qualche considerazione. Anzitutto si rileva il fatto che a Milano, una
                delle maggiori città della penisola, ancora a fine Seicento non esiste-
                vano magistrature civili (come a Genova e a Venezia) né case religiose
                (trinitari e mercedari) deputate al riscatto degli schiavi nazionali.  Le-
                gate a questi Ordini, nondimeno, c’erano anche nella città ambrosiana
                – come a Lucca, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, Messina –
                due confraternite laiche, riconosciute dalla Chiesa: quella della ss. Tri-
                nità presso s. Lorenzo e quella della Beata Vergine della Mercede, an-
                nessa alla chiesa barnabitica di s. Alessandro , attive nella raccolta
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                di fondi per il riscatto dei captivi in mano islamica. Le confraternite
                dello Stato di Milano erano in corrispondenza con l’Arciconfraternita
                del Gonfalone a Roma . Tuttavia, al di là di questi pii sodalizi in loco,
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                   13  Supplica a stampa al Senato, datata Algeri 15 febbraio 1672, con elenco in calce
                di 25 uomini, 18 dei quali erano i soldati prigionieri da due anni, gli altri essendo ridotti
                in schiavitù da un tempo più lungo, dai 6 a ai 18 anni. Nel documento, oltre al nome, è
                anche indicata la località di origine dei prigionieri (milanesi, pavesi, cremaschi, novaresi,
                comaschi, tortonesi, alessandrini; e uno del Finale): Ascmi, Materie, b. 870, fasc. 13.
                   14  La devozione alla B.V. della Mercede, attestata nella tarda età viscontea, proba-
                bilmente riprese nuovo slancio in Lombardia nel secondo Seicento. Nell’elenco dei 520
                cristiani liberati per opera dell’Ordine Mercedario nel 1675 figurano anche i nomi di sei
                milanesi, di cui due religiosi: G. C. Bascapè, I mercedari a Milano (sec.XV-XVII), Libreria
                “Ambrosiana”, Milano, 1935, pp.11-13.
                   15  In una memoria del 1768 un cancelliere plebano lombardo affermava che «la re-
                denzione dipendente da questo Stato si faceva, prima che fosse accollata a questi P.P. [i



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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