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Sudditi milanesi schiavi dei barbareschi. Riscatti, procedure, profili 609
In una loro nota intitolata «Modo d’eseguire la redenzione» (non priva
di intenti apologetici, come si vedrà meglio) si delineano in sintesi le fasi
salienti delle missioni di riscatto, almeno per la parte che competeva ai
religiosi. Gli amministratori degli ospedali dei trinitari in Africa setten-
trionale inviavano la nota degli schiavi al padre procuratore a Milano.
Questi faceva ricercare le fedi battesimali delle persone elencate per cer-
tificarne la nazionalità e, ovviamente, l’appartenenza alla comunità cri-
stiana. Raccolta la documentazione e informato il governo, si spedivano
le fedi battesimali ai religiosi in Africa e si procedeva al riscatto per il
tramite dei consolati. Una volta giunti in patria gli ex schiavi, il procu-
ratore dei trinitari li presentava al «principe» – vale a dire all’autorità
politica – e ne pubblicava l’elenco con i costi sostenuti .
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Il ritorno in patria e la piena riammissione nella comunità dei liberi
cristiani – dopo un percorso di purificazione del corpo (la quarantena
in qualche lazzaretto) e dell’anima (dalla contaminazione degli infedeli)
– erano scanditi da un protocollo cerimoniale religioso informato alla
spiritualità dell’Ordine, culminante in una solenne processione dal
convento di s. Maria in Monforte alla cattedrale del Duomo ove ave-
vano luogo omelia, Te Deum e benedizione solenne . Il fasto cerimo-
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niale – qualcuno lo ascriverebbe a una teatralità ancora ‘barocca’ –
esprimeva appieno l’ethos collettivo di una società nella quale spazio
sacro e spazio civile s’intersecavano e, in simili occasioni, si fondevano
in una dimensione corale. Scopi evidenti di tali cerimonie erano l’as-
solvimento del dovere cristiano di ringraziare Dio per la liberazione dei
cristiani, con edificazione della comunità tutta; la pubblica attesta-
zione dell’efficacia dell’azione redentrice dei trinitari; e la raccolta di
generose offerte e legati, sull’onda della commozione. Nella cattedrale,
in effetti, alla presenza del ceto dirigente patrizio e del cardinale arci-
vescovo, toccava a un barnabita suscitare riflessioni ed emozioni con
una «erudita orazione» ove si riprendevano, in un tessuto di citazioni
bibliche e classicheggianti, motivi divenuti consueti all’omiletica sul
28 A conferma di ciò si allegavano i tre cataloghi pubblicati negli anni 1742, 1750,
1761. Asmi, ag, Culto, p.a., b. 1817, fasc. “Aggregazione” cit.
29 Cfr. P. Vismara, Conoscere l’Islam cit. pp. 217-225. Sulle processioni dei captivi
redenti, cfr. G. Lee Weiss, From barbary to France: processions of redemption and early
modern cultural identity, in G. Cipollone (a cura di), La liberazione dei ‘captivi’ tra Cri-
stianità e Islam oltre la crociata e il Ğihād: tolleranza e servizio umanitario, Archivio Se-
greto Vaticano, Città del Vaticano, 2000, pp. 789-806; R. Sarti, Bolognesi schiavi dei
“Turchi” e schiavi “turchi” a Bologna tra Cinque e Settecento: alterità etnico-religiosa e
riduzione in schiavitù, «Quaderni storici», a. 36 (2001), n. 2, pp. 437-473, alle pp. 442-
444; S. Bono, Da Salamanca a Varsavia: processioni di schiavi europei riscattati (1508-
1830), «Mediterranea. Ricerche storiche», XII (2015), n. 34, pp. 285-300.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)