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                Teresa, era stato riscattato (per una cifra ignota) dal Granduca di To-
                scana (marito della medesima) «nella pace fatta in Algeri». La somma
                di gran lunga più alta, 8.549 lire, versata per liberare il nobile milanese
                Alessandro Visconti (n. 18) dalla schiavitù tunisina, fu pagata in parte
                (3.235  lire)  dal  già  citato  fondo  Arconati  gestito  in  Roma,  mentre  il
                resto probabilmente era rimasto a carico della famiglia, dopo trattative
                che immaginiamo laboriose. Se escludiamo questo personaggio dagli
                altri dodici di cui figura l’intera somma del riscatto, abbiamo un valore
                medio pro capite di 2.690 lire (equivalenti a circa 336 ducati vene-
                ziani): si va dal riscatto più alto (4.343 lire) pagato per Michele Mode-
                nini (n. 34) a quello minimo (2.003 lire) per Felice Reggiano (n. 21),
                entrambi  prigionieri  ad  Algeri.  Per  quanto  consta  da  altri  studi,  si
                tratta di valori che rientrano nelle medie instabili tra prima e seconda
                metà del secolo, in una tendenza complessiva al rialzo dei prezzi . Va
                                                                              38
                ricordato che il costo finale di un riscatto era dato da componenti di-
                verse. Alla somma versata al padrone dello schiavo si doveva aggiun-
                gere un valore oscillante tra il 20 e il 30 per cento di quel prezzo, co-
                stituito dalle tasse statali e locali per uscire dal paese islamico, nonché
                dalle spese e provvigioni spettanti ai mediatori e ai trasportatori ebrei
                e cristiani. Almeno di un “redento”, il cremonese Giuseppe Pasquali
                (n. 27), sono rimaste tracce più abbondanti, tali da offrire una visuale
                d’insieme della rete internazionale asburgica nella quale all’occorrenza
                s’inserivano i trinitari milanesi; ed anche un’idea degli intoppi che po-
                tevano rallentare o vanificare i negoziati.
                   Nel settembre 1752 il conte di Richecourt, reggente nella Firenze
                asburgico-lorenese, informava Gianluca Pallavicini, governatore di Mi-
                lano e plenipotenziario imperiale, che i corsari di Tripoli avevano com-
                prato a Dulcigno, noto mercato adriatico di schiavi, alcuni sudditi de-
                gli Asburgo . Invano il console austriaco a Tripoli aveva chiesto di
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                rilasciarli, in forza del recente trattato (1749). Il pascià temporeggiava,
                replicando che gli occorreva la documentazione comprovante la condi-
                zione di sudditi austriaci dei prigionieri: giovani tra i 22 e i 30 anni,
                già militari della Repubblica di Venezia, un trentino e cinque lombardi,
                tra cui il Pasquali, espressamente raccomandato nel carteggio gover-
                nativo.  Ma  le  indagini  per  identificarli  promosse  dai  vescovi  nelle


                   38  Cfr., ad es., E. Lucchini, La merce umana cit., pp. 130-134; R.C. Davis, Christian
                slaves cit., p. XII-XIII; L. Lo Basso, Il prezzo della libertà. L’analisi dei libri contabili del
                Magistrato per il riscatto degli schiavi della Repubblica di Genova all’inizio del XVIII se-
                colo,  in  W.  Kaiser  (ed.),  Le  commerce  des  captifs  cit.  pp.267-282,  p.  271;  A.  Pelizza,
                Riammessi a respirare l’aria tranquilla cit., p.502; F. Tiran, Trinitaires cit., p. 5, S. Bono,
                Schiavi cit. pp. 268-270.
                   39  Corrispondenza Richecourt-Pallavicini e dossier intero in Asmi, ag, Culto, p.a., b.
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                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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