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I mercanti della «nazione napolitana» a Palermo nel Settecento 391
gazzinate. E lungo il perimetro di detto Piano si ergeva anche la chiesa-
confraternita di San Giovanni Battista della «Nazione napolitana», luogo
di culto e loggia dei negozianti e dei padroni di barche del regno di Na-
poli. Questa vasta area, inoltre, includeva i 65 magazzini di deposito
merci, retrostanti e collaterali al palazzo Chiaramonte, sede del ʻsegretoʼ
che amministrava lʼintero sistema doganale urbano ed extra-urbano (da
Castellammare del Golfo a Termini Imerese). Qui si intersecavano tran-
sazioni private, adempimenti normativi e obblighi daziari; si tessevano
i rapporti di mediazione e sensalìa tra domanda e offerta e si ricercavano
i garanti finanziari di alcune operazioni, gli assicuratori e i prestatori a
cambio marittimo; si contrattavano i noli delle imbarcazioni e si nego-
ziavano le lettere di cambio; si dirimevano le controversie mercantili e
si sanzionavano le frodi e i contrabbandi.
In particolare, si propone unʼanalisi del ruolo e delle attività dei
padroni di mare-mercanti dellʼarea napoletana e dei ʻregnicoliʼ di altre
zone della Campania e di alcuni paesi costieri della Calabria, attivi a
Palermo tra ʼ700 e ʼ800. La documentazione archivistica consultata
permette, infatti, di esaminare la loro modalità operativa, la capacità
di intermediazione commerciale di beni (soprattutto durevoli) tra paesi
produttori e mercati di consumo dellʼarea mediterranea. È emerso,
inoltre, il protagonismo di questi soggetti in grado di tessere una rete
capillare di distribuzione anche su base familiare e parentale, risalente
ai rispettivi paesi di origine. Inizialmente la maggior parte di essi si
limitava a svolgere navigazione di cabotaggio per infra Regno, facendo
scalo a Palermo e a Messina per imballare (estrarre tessuti dalla do-
gana per immetterli ‒ via mare o via terra ‒ nei paesi dellʼisola) «pe-
luzzi» (felpe di lana), «saje» (tessuti di lana con filo di lino, di canapa o
cotone), «cirriti» (panni grossolani) e «tarantoli» (panni di lana); ma ben
presto un gruppo sempre più numeroso si stabiliva in modo stanziale
nella capitale e nei comuni dellʼentroterra, acquisendo cittadinanza e
aprendo bottega. Così, per un verso, vietresi, positanesi, bagnaroti,
riuscivano a competere con le feluche e i pinchi dei trapanesi, dei ter-
mitani, dei cefaludesi e dei milazzesi; per un altro verso, raggiunge-
vano i paesi per partecipare alle fiere, diventando i principali venditori
di tessuti e di generi coloniali. Il fenomeno diventa particolarmente
significativo lungo il Settecento, per effetto della crescita esponenziale
della produzione tessile nordeuropea e della penisola. I manufatti di
quelle fabbriche si riversavano nei mercati mediterranei dove un si-
stema distributivo flessibile e policentrico, animato dagli operatori in
questione, assicurava lo smercio capillare degli stessi, via mare o terra.
Considerato lo scarso utilizzo di dati seriali nella storiografia marit-
tima siciliana ‒ grave vulnus alla comprensione della stessa ‒ si è fatto
riferimento alla documentazione di due differenti fondi archivistici
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)