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I mercanti della «nazione napolitana» a Palermo nel Settecento 393
Il ruolo della confraternita nella piazza di Palermo, ampiamente ri-
conosciuto dalle autorità, oltre che dai ʻregnicoliʼ che vi risiedevano o
transitavano, appare ben più rilevante rispetto a quello del «Console
della Nazione Napoletana». Questi risulta presente in città durante la
breve dominazione austriaca, come se il regno al di là del Faro (la Si-
cilia) fosse nazione straniera e non un dominio del medesimo re Carlo
VI dʼAsburgo. Lʼamministratore della Secrezia, infatti, segnalava al
Tribunale del Real Patrimonio nel 1727 che, sin dagli anni precedenti
‒ ma non è dato sapere esattamente da quando e fino a quale data ‒
tra i consoli operanti a Palermo (genovese, veneziano, maltese, fran-
cese e inglese), ve ne fosse anche uno napoletano, il quale riscuoteva
8 tarì da ogni bastimento e 1 tarì da ogni feluca «della Nazione» . Come
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sottolinea Roberto Zaugg, i compiti di questi consoli erano: «di difen-
dere gli interessi dei mercanti che afferivano alla loro nazione e dei
padroni e capitani che navigavano sotto la sua bandiera. A questo
scopo, svolgevano un insieme di funzioni molto variegato: vegliavano
affinché i privilegi della nazione venissero rispettati dagli ufficiali lo-
cali, esercitavano il controllo sui marinai imbarcati sui bastimenti na-
zionali, prestavano servizi notarili, raccoglievano informazioni sulle at-
tività economiche dei paesi in cui soggiornavano» . Di contro, non ri-
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sulta che a Napoli, in quegli anni o anche successivamente, ve ne fosse
uno della nazione siciliana . Tuttavia, per i decenni successivi, non si
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ha più notizia dellʼattività di consoli napoletani a Palermo e non certo
per il venir meno della presenza dei mercanti partenopei.
Accanto a questo ruolo consolare se ne poteva affiancare anche un
altro; infatti, in forza di un privilegio concesso da Carlo di Borbone alla
capitale napoletana il 7 giugno 1735, gli «eletti» della città potevano
nominare propri consoli da destinare negli stati esteri e nelle princi-
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pali città marittime dei regi domini. Senonché, a seguito dellʼinsorgere
di «varj inconvenienti e contese» sul merito della loro attività e sullʼar-
bitraria pretesa di esigere diritti dai padroni di bastimenti «nazionali»,
il governo, con dispaccio dellʼ11 gennaio 1761, dispose
9 Asp, Sec, b. 2044, «Relazione delli Primi Dazi e Gabelle che sʼesiggono sulla Regia
Secrezia e Dogana della Città di Palermo etc., presentati da D. Placido Marchese Ammi-
nistratore che fu di detta Regia Secrezia e Dogana etc.», databile 1727.
10 R. Zaugg, Stranieri di antico regime. Mercanti, giudici e consoli nella Napoli del Set-
tecento, Viella, Roma, 2011, p. 28.
11 Questa differenza potrebbe ascriversi tra le diverse evidenze della mancata inte-
grazione politico-amministrativa dei due regni; questione rimasta irrisolta anche dopo
il 1735 con i Borbone: A. Musi, Mito e realtà della nazione napoletana, Guida Editori,
Napoli, 2016, p. 74: «Il regno di Carlo III non realizza una fusione tra Napoli e Sicilia,
che restano due governi paralleli. Lʼidentità tra Napoli e il Regno è ancora forte, ma si
accentua pure la distorsione tra capitale e province».
12 A. De Saris, Codice delle leggi del Regno di Napoli, libro ottavo, «Del pubblico com-
mercio interiore per terra e per mare, e della pubblica sanità», Napoli, 1795, p. 68.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)