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I mercanti della «nazione napolitana» a Palermo nel Settecento   411


                    Benjamin Ingham, trasferitosi a Palermo intorno al 1810 e qui stabi-
                    litosi fino al 1861, anno della sua morte ‒ si possono leggere, fin dalle
                    prime scritture contabili, le annotazioni delle sue vendite di panni di
                    lana e cotone, di velluti e telerie dallʼInghilterra, allʼordine di nume-
                    rosi grossisti e dettaglianti tra i quali i positanesi Francesco Fioren-
                    tino, Giuseppe Palumbo, Costantino Buonocore, Luigi Talamo, Ma-
                    riano Buonocore, Michele e Giuseppe Bruno, Gioacchino Talamo .
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                    E nel Journal del 1813-1814, si susseguono le fatturazioni a Luigi
                    Veniero, Vincenzo e Matteo Talamo, Giovanni Cimino e figlio, Gio-
                    vanni Montuoro, Samuele Parlato, Domenico e Simone Paolillo, Gio-
                    vanni  Marino  Buonocore,  fratelli  Montuoro,  Angelo  Fiorentino,
                    Gioacchino Talamo e comp., Giuseppe Di Palma . Dʼaltronde, dopo
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                    l’occupazione francese del regno di Napoli, venuta meno la possibilità
                    di imballare panni e lanerie provenienti da Marsiglia, Genova e Li-
                    vorno, ai positanesi non rimaneva che rifornirsi dai mercanti inglesi,
                    ormai molto presenti soprattutto a Messina e a Palermo, importatori
                    delle produzioni di Leeds e di Manchester; questi ultimi, a loro volta,
                    si  avvalevano  della  rete  distributiva  dei  primi  per  assicurarne  lo
                    smercio.


                    5. Gli introiti della Secrezia, della Dogana grande e della Doganella

                       In assenza di informazioni dettagliate sui volumi di commercio ri-
                    feribili ad altre comunità di negozianti ‒ e in quel periodo vi erano
                    ancora  diversi  liguri,  seppur  non  più  numerosi  come  un  tempo,  i
                    quali facevano capo alla chiesa di San Giorgio dei Genovesi ‒ non si
                    può proporre alcuna comparazione. Che peso dare, quindi, allʼatti-
                    vità dei ʻregnicoliʼ calabresi e campani e come interpretare i dati sin
                    qui illustrati? Si dovrebbe, quanto meno, provare a stimare lʼinci-
                    denza dei loro affari sul totale delle transazioni che si effettuavano
                    alla Doganella e alla Dogana grande. Purtroppo, solo di qualche eser-
                    cizio si conosce lʼimporto delle entrate delle due dogane, le quali con-
                    fluivano nel bilancio generale della Secrezia palermitana, che com-
                    prendeva diversi capitoli: gli introiti delle porte daziarie di terra, lo
                    «stallaggio del luogo bastimento», le locazioni dei magazzini, la «ga-
                    bella del fiore», il collettore del peso, il «tarì di possessione», le penali
                    applicate sulle merci di contrabbando ed altri di minore entità. Sono,
                    invece, disponibili, per diversi decenni, i totali delle entrate della Se-
                    crezia, a decorrere dal 1742-1743, delle quali si sono calcolati i valori


                       79  Archivio Ingham-Whitaker di Marsala [presso Cantine Pellegrino], Journal, 1810-
                    1811, pp. 4-8, 13 e 16.
                       80  Ivi, Journal, 1813-1814, pp. 3, 6-7, 24, 35, 56, 80, 104, 147, 173.


                                                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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