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                 per gli individui colpiti ma meno traumatico – in una valutazione com-
                 plessiva – di quanto non sia stato nella schiavitù atlantica. Chi navigava
                 nel Mediterraneo, o viveva nel ‘mondo mediterraneo’ – come definito da
                 Fernand Braudel – aveva in qualche misura presente il rischio di una
                 cattura e di un forzoso inserimento, in condizione schiavile, in altri
                 paesi di quel mondo segnati da altre culture e civiltà. Aveva al tempo
                 stesso consapevolezza e dunque speranza di una potenziale reversibilità
                 della condizione schiavile in cui era caduto, poiché le ‘due parti’ di quel
                 mondo mediterraneo erano in stretto, continuo e multiforme contatto.
                 La caduta in schiavitù avveniva generalmente a seguito di uno scontro
                 – per mare o per terra – con un nemico del quale si restava vittime; in
                 ciascun episodio poteva venir coinvolto un numero molto variabile di
                 persone: poche unità o decine ma anche gruppi di popolazione che nel
                 nuovo contesto veniva poi dispersa ovvero mantenuta tutta insieme.
                    La schiavitù mediterranea si può anche guardarla come una ingente
                 e protratta migrazione forzata di individui di un gran numero di paesi,
                 con molta varietà di situazioni e condizioni di vita e di successivi destini;
                 su questo aspetto abbiamo avuto occasione di svolgere un intervento
                 intitolato appunto La schiavitù nel Mediterraneo dell’età moderna come
                 fenomeno migratorio nel convegno internazionale dal titolo People Moving,
                 svoltosi a Malta nell’aprile 1997 (non ha fatto seguito una pubblicazione
                 degli  atti);  venti  anni  fa  della  schiavitù  mediterranea  non  era  stata
                 ancora formulata una valutazione quantitativa che oggi invece viene pro-
                 posta – sia pur come base per un ulteriore approfondimento, e con la
                 somma di schiavi di ogni provenienza – in questi termini approssimati:
                 schiavi vissuti in Europa fra il 1500 e il 1800: due milioni e mezzo;
                 schiavi europei nel Maghreb: 850mila; schiavi nell’impero ottomano: da
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                 3-4 a 5-6 milioni, per quattro-quinti africani . Per farsi una idea del
                 cosmopolitismo intrinseco alla schiavitù mediterranea – anche per que-
                 sto differente da ogni altra – basti ricordare la citatissima frase di João
                 de Mascarenhas, il quale a proposito di Algeri – dove fu schiavo fra il
                 1621 e il 1627 – affermò che oltre ad ottomila europei cattolici – cioè,
                 ovviamente, spagnoli, italiani, francesi e altri – ve ne erano







                    1  Sul tema della schiavitù mediterranea esiste ormai una abbondante bibliografia;
                 fra i lavori più recenti e comprensivi: M. Barrio Gozalo, Esclavos y cautivos. Conflicto
                 entre la cristianidad y el islam en el siglo XVIII, Valladolid, 2006; S. Bono, Schiavi. Una
                 storia mediterranea (XVI-XIX secolo), Bologna, 2016; in quest’ultimo una aggiornata
                 bibliografia (pp. 401-452); sulla valutazione quantitativa pp. 74-75.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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