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                   Casi di mobilità di schiavi nel Mediterraneo dell’età moderna   155


                   proprietà, privi di libertà e di ogni autonomia di azione e di movimento,
                   almeno in linea di principio; si subiva dunque un evidente assoluto
                   degrado della propria condizione sociale e persino della propria dignità
                   umana. In una considerazione complessiva del fenomeno servile, la
                   ‘caduta’ in schiavitù è la forma peggiore di mobilità sociale, diretta
                   verso una condizione infima.
                       Questo passaggio però – cattura, schiavitù, riduzione ad oggetto o
                   quanto meno ‘animalizzazione’ – è un processo astratto, attuato in con-
                   creto soltanto per un certo numero di individui catturati. Ad una costri-
                   zione fisica e prevalente immobilità sono sottoposti gli schiavi destinati
                   ai banchi dei rematori, quasi tutti di proprietà statale; gli schiavi in
                   mano a privati invece, inseriti nella vita della famiglia e in attività pro-
                   duttive gestite dal padrone, per lo svolgimento delle molteplici incom-
                   benze alle quali potevano essere destinati, spesso anche fuori della
                   casa padronale, dovevano necessariamente muoversi. Nella maggior
                   parte dei casi si imponevano segni di riconoscimento della condizione
                   servile e non impedimenti all’ espletamento di lavori e compiti. Ciò non
                   toglie che umiliazioni e sofferenze siano state inflitte agli schiavi, sino
                   ad espressioni di perversa crudeltà, come ha meritoriamente eviden-
                   ziato Alessandro Stella, contrastando così la credenza propria dei primi
                   studiosi della schiavitù nell’Europa moderna che l’avevano considerata
                   come fenomeno presente negli strati più elevati della società, dove gli
                   schiavi erano oggetto di ostentazione e intrattenimento, aspetto in
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                   effetti più facilmente mostrato dalle fonti  .
                       I limiti imposti alla mobilità fisica degli schiavi – che vediamo for-
                   mulati e ribaditi da ordinamenti e disposizioni di autorità locali – non
                   possono comunque assimilare la condizione servile a quella di ‘prigio-
                   niero’. La prigionia quale condizione punitiva può anche colpire uno
                   schiavo come ogni altro membro della popolazione per decisione del
                   padrone o di una autorità, ma la condizione di coloro che venivano
                   ‘ridotti in schiavitù’ è tutt’altra, e teoricamente peggiore, rispetto alla





                      5  A. Stella, Histoires d’esclaves dans la péninsule ibérique, Paris, 2000; Id., «Herrado
                   en el rostro con un S y un clavo»; l’homme animal dans l’Espagne des XVIe et XVIIIe siècles,
                   in H.Bresc (a cura di), Figures de l’esclave au Moyen-Age et dans le monde moderne,
                   Paris, 1996, pp. 147-163. Per la schiavitù come ‘morte sociale’: O. Patterson, Slavery
                   and Social Death. A Comparative Study, Cambridge, 1982. Sul ritorno alla condizione di
                   liberi, per un certo numero di casi dopo la conversione all’islàm, ricordiamo soltanto: B.
                   e L. Bennassar, I cristiani di Allah. La straordinaria storia dei rinnegati, Milano, 1991; A.
                   Gonzalez-Raymond, La Croix et le Croissant. Les inquisiteurs des îles face à l’Islam, 1550-
                   1701, Paris, 1992; S. Bono, Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo) cit., pp.
                   245-250.


                   n.42                            Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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