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Casi di mobilità di schiavi nel Mediterraneo dell’età moderna 153
altrettanti, e persino di più, appartenenti a altre nazioni: fiamminghi, inglesi,
danesi, scozzesi, tedeschi, irlandesi, polacchi, moscoviti, boemi, ungheresi, norve-
gesi, borgognoni, veneziani, piemontesi, schiavoni, siriani d’Egitto, cinesi, giappo-
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nesi, brasiliani, abitanti della Nuova Spagna o del Paese del Prete Gianni (Etiopia) .
Si presentano qui alcuni casi – come esempi di altri innumerevoli –
di mobilità, nel senso di ascesa o degrado di condizione sociale ovvero
di spostamento nello spazio geografico, specialmente a lunga distanza,
persino al di fuori del ‘mondo mediterraneo’, anche se inteso nel pur
ampio senso indicato da Braudel. Non si intende qui invece confrontare
il fenomeno, quale appare nell’ambito mediterraneo e nel periodo con-
siderato, con quello variamente individuabile in altri quadri e in una
problematica teorica più generale; affermiamo soltanto che nelle
vicende di schiavi mediterranei la mobilità è un tratto più diffuso e
marcato che non presso gli schiavi in altri contesti.
Iniziamo con l’osservare che per un certo numero di schiavi europei
la cattura avvenne nel corso di un viaggio intrapreso per cercare for-
tuna fuori del proprio paese, intento per il quale avevano lasciato la
dimora familiare e la terra di nascita. La maggior parte erano uomini
di mare, pescatori, capitani e membri di equipaggi, militari: questi
ultimi raggiungevano le formazioni nelle quali si erano ingaggiati o in
via di trasferimento collettivo verso fronti di guerra o di ritorno da essi.
Sovente però i testi che riferiscono storie di schiavi e vicende di riscatti
– autobiografici o redatti dalle istituzioni che avevano curato il riscatto,
come la confraternita del Gonfalone di Bologna – confessano con
accenti di rammarico e pentimento, o attribuiscono al protagonista
della vicenda – quale motivazione dell’allontanamento dalla città natale
e dei viaggi che condussero malauguratamente alla schiavitù – un desi-
derio di mobilità, di voluto abbandono di un ambiente familiare e di
residenza monotono, chiuso e oppressivo; e per contro l’intento di
conoscere il mondo, di vedere paesi e gente nuova, di tentare una sorte
decisamente diversa e migliore rispetto a quella che si poteva attendere
in patria. Questi sentimenti e riflessioni erano tanto più vigorosi se si
trattava di individui residenti in piccole località di regioni continentali
piuttosto decentrate. Lo spagnolo Diego Galán de Escobar – autore di
una Relación del cautiverio y libertad , una vicenda durata dal 1589 al
1610, fra i testi autobiografici più intriganti redatti da schiavi – aveva
abbandonato la famiglia, come egli stesso ricorda: «siendo de edad de
trece a catorce años, sin fondamento ni consideración de adonde iba,
2 P. Teyssier (a cura di), Esclave à Alger. Récit de captivité de João Mascarenhas (1621-
1626), Paris, 1993, pp. 74-75.
n.42 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)