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                 condizione di prigioniero, tanto più se si pone in relazione ai ‘prigionieri
                 di guerra’ di tempi più recenti o dei nostri giorni; questi prigionieri sono
                 tutelati da norme internazionali, godono di precise garanzie e general-
                 mente vengono rilasciati da ambedue le parti al termine del conflitto.
                    Le compravendite da privato a privato, il noleggio, le molteplici
                 variazioni nella situazione di lavoro e di vita, le possibilità di impiego
                 ‘autonomo’  inducono  a  ritenere  improprio  l’accostamento  della
                 figura dello schiavo a quella del prigioniero. La mobilità dipendeva
                 di regola, come tutta la vita dello schiavo, unicamente dalla volontà
                 e dalle decisioni del padrone: la più naturale e frequente occasione
                 era perlopiù l’accompagnamento del padrone stesso in piccoli spo-
                 stamenti o in viaggi verso mete prossime o lontane, per servirlo e
                 assisterlo, se non addirittura per prestargli compagnia e difesa; una
                 quotidiana mobilità nella vita dello schiavo era implicita nell’esple-
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                 tamento dei suoi compiti .
                     Precisate queste questioni preliminari e di definizione, vediamo
                 le più consuete e tipiche occasioni di mobilità degli schiavi nello spa-
                 zio circostante, anche a distanza dal luogo abituale di ‘schiavitù’.
                 Nell’espletamento di compiti ricevuti e più in generale nell’adempi-
                 mento della volontà del padrone lo schiavo aveva talvolta occasioni
                 di viaggiare, con lui o da solo, con sollievo forse di rompere la mono-
                 tonia della sua vita ordinaria ma anche con il piacere di conoscere
                 luoghi, paesi, persone diverse. Antoine Quartier, già ricordato, dal
                 pascià Osman di Chio, di cui era al diretto servizio, fu incaricato di
                 portare in dono al visir del Cairo cinquanta neri e sei europei (tre
                 olandesi, due italiani e un savoiardo): via mare il gruppo giunse da
                 Tripoli ad Alessandria in pochi giorni; affidati gli schiavi per l’inoltro
                 al visir del Cairo, il francese – per un altro incarico o per concessione
                 avuta dal padrone – proseguì il viaggio sino in Palestina, per una
                 durata di 40 giorni in totale dalla sua partenza. Al ritorno a Tripoli
                 Osman Pascià considerò quel viaggio uno sgravio ed un vantaggio
                 per il suo schiavo, e gli sembrò dunque giusto imporgli un periodo
                 di lavoro più duro; lo destinò dunque ad una cava fuori città, dove si
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                 tagliavano pietre, un impegno molto gravoso . Forse del tutto piace-
                 vole invece per lo schiavo o liberto, cioè manumesso – e in ogni caso
                 vantaggioso per il padrone, quanto aveva disposto il mercante geno-
                 vese Franco Leardo, che da Siviglia ai primi del Cinquecento gestiva
                 ingenti interessi commerciali nell’America spagnola; egli inviava –



                    6  Sulla mobilità: S. Bono, Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo) cit. pp.
                 139-141.
                    7  A. Quartier, L’esclave religieux et ses aventures cit., pp. 209-210.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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