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                 Wild, un umile contadino tedesco catturato nel 1604 dagli ungheresi,
                 contro i quali combatteva a servizio degli Asburgo. Così racconta nelle
                 sue lunghe e dettagliate memorie, sotto uno dei suoi primi padroni, dei
                 sei che ne cambiò : «me la passavo bene, facevo un lavoro facile, e non
                 mi mancava mai nulla quanto al mangiare e al bere»; il padrone «aveva
                 compassione di lui, non gli faceva mancare niente, e diceva di volergli
                 bene come a un figlio». I , Il benessere materiale peraltro non toglieva
                 – come lo stesso Wild afferma – l’angustia della dipendenza da un
                 volere altrui. Nella sua relazione sul Marocco, dove nel 1727-1728
                 aveva  accompagnato  un  diplomatico  inglese  –  John  Braithwaite
                 afferma che molti schiavi vivevano «meglio di quanto non avrebbero
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                 potuto aspettarsi nei loro paesi» .
                    Dopo  il  fallito  assedio  turco  di  Vienna  nel  1683  qualche  turco
                 schiavo nella capitale «se la passava meglio – ha scritto uno storico
                                                                   18
                 austriaco – dei contadini liberi al lavoro nei campi» . Ovviamente per
                 le persone – europei, turchi o maghrebini – che in patria godevano di
                 uno status sociale e di condizioni di vita privilegiate, la schiavitù costi-
                 tuiva  un  drammatico  imprevisto  regresso  verso  una  condizione  di
                 dipendenza e di disagi, mal tollerati poiché in precedenza del tutto sco-
                 nosciuti.
                    Schiave e schiavi potevano incontrare un maggior benessere ed una
                 certa promozione sociale – pur sempre nella privazione della libertà
                 personale – se riuscivano a creare con il proprio padrone un rapporto
                 privilegiato, spesso con una componente affettiva e o anche sessuale,
                 al di là di una mera violenza e sopraffazione. Un caso, sembra di segno
                 positivo, fu quello di Bernarda Juana de los Angeles, una turca con-
                 dotta a Cadice negli anni 1660 dal suo proprietario, il commerciante
                 tedesco  Bernardo  Drayer,  che  le  lasciò  alla  morte  denaro,  gioielli,
                 mobili, vestiario – dopo verosimilmente una vita, da un certo tratto
                 almeno, di affetto e di agi condivisi; riconoscente Bernarda dispose
                 migliaia di messe in suffragio del suo benefattore .
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                     La più frequente mobilità sociale e spaziale degli schiavi poteva




                    17  J. Wild, Neue Reysbeschreibung eines Gefangenen Christen Anno 1604 (1613), a
                 cura di G.A. Narciss e K. Teply, Stuttgart, 1964, pp. 52-53; Cap. Braithwaite, Histoire
                 des revolutions de l’empire du Maroc, depuis la mort du dernier Empereur Muley Ismael,
                 Amsterdam, 1731, p. 440.
                    18  G. Schreiber, Auf den Spuren der Türken, München, 1980, p. 251.
                    19  A. Stella, Histoires d’esclaves cit., pp. 26-27. A sua volta Bernarda – ormai di agiata
                 condizione – acquistò una schiava nera, Antonia Rosa, una sedicenne «slanciata e sor-
                 ridente», che più tardi alla morte dell’ormai anziana padrona, rimasta nubile senza alcun
                 erede, ottenne la libertà, cento scudi e altro ancora. Un ricco lascito di gioielli e denari,


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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