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Gaudioso (saggi)_4  25/04/18  11:47  Pagina 65






                   In nome del morto. Vescovi e testamenti dell’anima nel Regno di Napoli (secoli XVI-XVII)  65


                   nendo, senza alcun dubbio, la validità della consuetudine del testa-
                   mento dell’anima, prendeva però le distanze dal vescovo calabrese in
                   quanto «praetendebat totam quartam partem mobilium, quae erat
                   magni valoris» e, soprattutto, «proprio usu, non vero pro suffragio ani-
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                   mae defuncti» .
                      La controversia sul piano giurisdizionale, relativa alla vicenda cala-
                   brese, è utilizzata dal de Estrada per entrare nel merito delle dispo-
                   sizioni fatte dai vescovi per i morti ab intestato. In particolare, sulla
                   base delle interpretazioni dottrinali (tra le quali quella di Paolo Squil-
                   lante) e dei decreti della Congregazione dei Vescovi e Regolari, l’arci-
                   vescovo  brindisino  sostiene  che  l’intervento  ecclesiastico  «non
                   procedit in quocunque ab intestato moriente», ma solo «in eo tantum,
                   qui repentina morte praeventus intestatus decessit» (richiamandosi,
                   in tal senso, alle costituzioni sinodali di Otranto e di Gallipoli). Al di
                   là di ogni dubbio sul piano teorico e pratico, la consuetudine era fon-
                   data «in praesumpta mente decedentis», che, se non fosse stato colto
                   da morte improvvisa, avrebbe certamente fatto lasciti per una buona
                   morte cristiana. La circostanza di non aver potuto disporre pro anima
                   è assunta come giustificazione dell’intervento suppletivo del vescovo,
                   che, soprattutto in caso di negligenza degli eredi nel far celebrare ser-
                   vizi religiosi post mortem, disponeva per l’anima del defunto intestato,
                   con la facoltà di poter estendere tale prerogativa anche nei confronti
                   dei morti con testamento, che, per una serie di ragioni, non avevano
                   voluto (pur avendone il tempo e la possibilità ) fare alcun lascito pro
                   anima o ad pias causas. La questione relativa al non aver potuto fare
                   testamento per la morte improvvisa, che s’intrecciava con quella di
                   non aver voluto disporre alcunché per la salvezza dell’anima, solle-
                                                                                     54
                   vava molti dubbi interpretativi sulla presunzione di ultima volontà .
                   Per dare una risposta ai complessi quesiti sollevati, in particolare,
                   dall’atteggiamento prepotente e abusivo del vescovo calabrese di San
                   Marco, e per sciogliere i dubbi sul piano teorico e pratico, soprattutto
                   la facoltà pretesa dall’episcopato di supplire la volontà del defunto (in
                   nome del morto), era intervenuta, nel 1590, la Congregazione dei Car-
                   dinali che, nel merito della questione relativa alla presunzione di
                   volontà salvifica («in testamento facere voluerit, vel non potuerit»),
                   aveva concesso al vescovo la facoltà d’indurre, «rationabiliter», gli




                      53  F. de Estrada, Discursus iuridicus cit.
                      54  «Quod praesumitur quemlibet Christi fidelem in sua ultima voluntate aliquam sal-
                   tem partem bonorum in suffragium animae suae erogari velle, quod si vel casu, vel alia
                   ratione in testamento facere noluerit, vel non potuerit» (ivi).


                   n.42                            Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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