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In nome del morto. Vescovi e testamenti dell’anima nel Regno di Napoli (secoli XVI-XVII) 67
commentare tale pretesa, con riferimento alla Praxis genovesiana, De
Luca osserva che, seppure ingiustificabile sulla base del diritto suc-
cessorio romano («Quamvis enim de jure prohibitum sit, ut unus pro
altero testetur, adeout neque volens testator, possit eius voluntatem
in illam alterius conferri»), tuttavia non fosse proibito al vescovo di
poter testare per l’anima e in nomine del defunto ab intestato, con il
solo dubbio se l’osservanza della pratica dovesse essere «immemora-
bilis, vel centenaria […] vel potius sufficiat ordinaria praescriptio qua-
dragenaria». In virtù della consuetudine, il vescovo, come «pater
spiritualis» per la salvezza delle anime, svolgeva una funzione sup-
pletiva («quod defunctus verisimiliter fecisset, vel facturus esset si
resurgeret»). Ciò nonostante, De Luca non lesina aspre critiche nei
confronti di quegli ordinari diocesani che, per avarizia e corruzione,
agivano «luporum magis, quam pastorum», ponendo in essere pratiche
odiose, accanendosi sui cadaveri dei defunti, negando la sepoltura
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ecclesiastica , per costringere i parenti ad accettare l’im po sizione
vescovile, e provocando, in tal modo, «horridum scandalum», come
aveva potuto riscontrare lo stesso De Luca («ut Ego pluries vidi prac-
ticari»). Il carattere immoderato ed esorbitante della disposizione
vescovile «non est in ipsa consuetudine, sed in modo illam practi-
candi», come, del resto, aveva accertato, nel 1590, la stessa Congre-
gazione dei Cardinali, che, «auditis his clamoribus, non damnavit
consuetudinem in genere, sed eius praxim moderari». In particolare,
s’imponeva al vescovo di tenere nella debita considerazione l’entità
del patrimonio del defunto, l’eventuale indigenza dei figli e dei parenti,
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comportandosi «tamquam bonus vir, non autem ex propria cervice» .
Per De Luca (che si schierava dalla parte di coloro che nutrivano
molti dubbi circa la legittimità di tale pratica), la consuetudine dei
testamenti dell’anima, seppure in vigore in molte diocesi dell’Europa
cattolica , per i molteplici dubbi interpretativi, per l’irrazionalità, per
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l’empietà, per le ingiustizie nei confronti dei parenti, per l’uso personale
59 Il 12 luglio 1570, il viceré duca d’Alcalá diede incarico al commissario Michelangelo
de Melio d’accertare la veridicità di un grave fatto accaduto in Marianella, dove, in seguito
alla morte ab intestato di una donna, il vescovo di Nola Filippo Spinola avrebbe preteso
di «fare esso il testamento» e, per dare maggiore efficacia a tale imposizione, «non volse
farla sepellire, et la fe’ stare tanto insepolta che li cani si magnorno il suo corpo» (Asn,
Collaterale, Curiae, vol. XXV, anno 1570, c. 78).
60 B. Chioccarello, Opera varia di materia giurisdizionale cit., c. 24.
61 Per la diffusione della pratica dei testamenti in loco defuncti e supra corpus in Francia,
Inghilterra e Spagna, cfr. N. Rapún Gimeno, La intervencion de la Iglesia cit., pp. 27 sgg.
n.42 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)