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(da parte di taluni vescovi) dei beni sottratti, per il ricorso alla volontà
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captatoria (rimessa all’arbitrio di un terzo) , aveva perso il suo carat-
tere di pia disposizione, trasformandosi «in abusum, atque in corrup-
telam». Per tutte queste ragioni, la consuetudine «deberet omnino
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aboleri» . Alle stesse conclusioni arriva il De Luca nell’altra sua impor-
tante opera (Il Dottor volgare):
In alcune parti d’Italia, e anche fuori, vi è una certa usanza, che quando
uno muoia ab intestato, il Vescovo gli faccia il testamento, il quale volgarmente
si dice per l’anima, cioè che con la dovuta proporzione della robba lasciata, il
Vescovo per suffragio dell’anima del morto, applichi a messe e ad elemosine, o
ad altre opere pie quella parte che si stimi verisimilmente adattata alla volontà
del morto, se avesse fatto il testamento. Ma perché tutte le buone introduzioni
col tempo si corrompono, e passano in abuso, quindi segue che per gl’incon-
venienti, i quali sogliono da ciò nascere, sarebbe forse cosa lodevole che tal
facoltà si proibisse. Attesoché bene la Sacra Congregazione per li richiami avuti
sopra ciò, ha provisto più volte, che si debba praticare con la dovuta modera-
zione, e soprattutto, che il Vescovo non ne possa applicare cosa alcuna a se
stesso. Tuttavia la pratica insegna, che non è medicina sufficiente, e per con-
seguenza sarebbe meglio che ciò si proibisse affatto .
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Le considerazioni del De Luca (abolizione della prassi dei testa-
menti dell’anima) erano certamente in controtendenza rispetto alle
indicazioni delle autorità pontificie e della maggioranza dell’episco-
pato regnicolo , che, invece, difendevano la prassi, a condizione che
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si cercasse un accordo con gli eredi dei morti intestati, che l’entità
della somma destinata pro anima e ad pias causas non eccedesse i
62 La volontà cattatoria («rimessa alla volontà altrui») non trovava, per De Luca, alcun
sostegno giuridico: «Le ultime volontà non devono dipendere dalla volontà degli altri, a’
quali solamente si può commettere il modo di praticare la volontà del morto»; cfr., dello
stesso, Il Dottor volgare cit., p. 130.
63 G.B. De Luca, Theatrum veritatis et justitiae cit., pp. 43-45.
64 Id., Il Dottor volgare cit., pp. 126-127.
65 Sulla base della documentazione attualmente consultata, l’unica diocesi che
assunse un atteggiamento abolitivo era quella di Napoli al tempo dell’arcivescovo Mario
Carafa. In particolare, il sinodo del 1569 e il concilio provinciale del 1576 avevano dispo-
sto che la consuetudine dei testamenti dell’anima dovesse essere «omnino de medio tol-
lendam, etiam immemorabilem», e permessa solo a condizione che si tenesse conto del
luogo, della qualità delle persone e del consenso esplicito degli eredi legittimi del defunto
intestato, dalla cui massa patrimoniale il vescovo avrebbe potuto prelevare «aliquam
pecuniae quantitatem moderatam», da dispensare «integre et sine ulla diminutione, et
perceptione quartae» in opere pie e nella celebrazione di messe «in suffragium animarum
eorum defunctorum» e da applicare «ad pios usus tantum» (cfr. M. Miele, I concili provin-
ciali del Mezzogiorno in età moderna, Editoriale Scientifica, Napoli, 2001, pp. 164-172).
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018 n.42
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)