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In nome del morto. Vescovi e testamenti dell’anima nel Regno di Napoli (secoli XVI-XVII) 61
decreti conciliari, sulle costituzioni pontificie, sui decreti della Congre-
gazione dei Vescovi e Regolari. Nell’intento di sciogliere i più frequenti
dubbi sulla prassi vescovile, Squillante analizza, in 11 punti argomen-
tativi, il privilegio in virtù del quale i vescovi facevano il testamento ad
pias causas per i morti ab intestato, centrando l’attenzione, in partico-
lare, sulla quantità di beni pretesa e imposta dall’episcopato, nonché
sulla liceità di disporre un atto «pro inhabilibus ad testandum». Il
richiamo alle opere di Genovesi e Riccio costituisce una base dottrinale
di riferimento per Squillante, il quale considera i vescovi pastori delle
anime e «procuratores miserabilium», con l’obbligo di aver cura dei
fedeli più poveri della propria diocesi, sia attraverso un’azione di
sostentamento economico, sia predisponendo tutti i mezzi necessari
per provvedere alla salvezza spirituale soprattutto di coloro che erano
morti senza confessione e senza testamento, a favore dei quali i
vescovi-pastori dovevano supplire all’assenza di volontà o all’omissione
della stessa, disponendo in nome del morto e inducendo i parenti ad
accettare quanto prescritto.
Nel merito, il privilegio vescovile di fare i testamenti in nome dei
defunti ab intestato poteva essere esercitato solo in quelle diocesi nelle
quali vigeva la consuetudine «rationabilis» di disporre per pia causa di
una moderata quantità dei beni appartenenti al morto. Tale prassi,
richiamandosi alla dottrina del purgatorio (per il refrigerio delle anime),
poteva trovare un avallo «in praesumpta mente testatoris», che, se non
fosse stato colto da morte improvvisa, certamente, secondo consuetu-
dine, avrebbe lasciato qualcosa per la propria anima. L’intervento del
vescovo («pater animarum») poteva avere maggiore efficacia se accom-
pagnato dal consenso degli eredi del morto intestato e se i beni sottratti
fossero stati impiegati in cause pie. In riferimento alla quantità dei beni
prelevabili dal patrimonio dei morti intestati (laddove era vigente la
consuetudine), Squillante ribadisce che il vescovo, nonostante la mate-
ria fosse rimessa al suo arbitrio, doveva comunque comportarsi da
«prudens, et pius pater familias», e, come «bonus vir», in sintonia con
le raccomandazioni della Congregazione dei Vescovi e Regolari, fare
ricorso alla moderazione nel determinare la quantità della somma
destinata a scopo pio, soprattutto nei casi in cui il defunto avesse
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lasciato figli ed eredi indigenti .
45 Ivi, p. 526.
n.42 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)