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Gaudioso (saggi)_4  25/04/18  11:47  Pagina 69






                   In nome del morto. Vescovi e testamenti dell’anima nel Regno di Napoli (secoli XVI-XVII)  69


                   limiti di moderazione e di ragionevolezza e che non fosse trattenuta
                   dai vescovi per uso personale, e, soprattutto, che le liti tra i vescovi
                   e i parenti dei deceduti senza testamento non comportassero, da
                   parte delle autorità diocesane, il ricorso all’odiosa negazione della
                   sepoltura ecclesiastica.
                      Negli anni seguenti, la Congregazione dei Vescovi e Regolari, «sen-
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                   tendosi di continuo nuove doglianze per diversi abusi» , nel merito
                   della  consuetudine,  «antica  e  pia»,  del  testamento  «vulgarmente
                   chiamato dell’anima», il 19 agosto 1678, in seguito a un ricorso pre-
                   sentato contro il vescovo di Frigento, per porre un freno alle «ecces-
                   sività» commesse dagli ordinari diocesani prescrisse, com’era già
                   avvenuto in altre occasioni, «forme e condizioni» da osservare da
                   parte di quei vescovi che facevano il testamento in nome del morto
                   intestato. Tra le condizioni, un posto di primo piano era riservato
                   alla sepoltura dei cadaveri, che non doveva essere ritardata o negata
                   nel caso di contestazione degli eredi all’esazione della somma dispo-
                   sta dal vescovo nel testamento dell’anima, «ma prontamente detti
                   cadaveri si sepelliscano senza aspettarsi né il pagamento, né la pro-
                   messa o sicurtà di pagare, e ciò sotto pena della sospensione a divi-
                   nis de incorrersi ipso facto», la cui assoluzione era riservata alla
                   stessa Congregazione. La pena della sospensione era minacciata
                   anche nei confronti di quei vescovi che utilizzavano la «quarta cano-
                   nica» a fini personali o «per la loro curia ed officiali», in quanto la
                   somma  doveva  essere  utilizzata  «interamente  per  suffragio  del-
                   l’anima del morto intestato, in tante messe ed opere pie, in confor-
                   mità  della  divozione,  che  ha  mostrata  in  vita  l’istesso  difunto
                   intestato». Inoltre, gli ordinari, «con paterna discrezione» e «col con-
                   siglio degli heredi caritativamente e con espressione di tante messe
                   e tali opere pie», avrebbero dovuto «disporre di poca quantità», non
                   eccedente la ventesima parte (e comunque sino a un massimo di 100
                   scudi o ducati) del valore dell’intero asse patrimoniale del morto
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                   intestato, detratti i debiti gravanti sull’eredità .
                      Nella prima metà del XVIII secolo, la questione dei testamenti del-
                   l’anima venne anche discussa, il 4 maggio 1725, nel Concilio Provin-
                   ciale Romano, che dedicò una seduta alla spinosa materia, approvando
                   la proposta «di abbracciarsi, dove non sia, la lodevole consuetudine,
                   che è nel Regno di Napoli, di farsi dal Vescovo il testamento dell’anima,




                      66  Cfr., in tal senso, F. Gaudioso, Tra consuetudine e abusi cit.
                      67  Il testo è riprodotto in N. Rapún Gimeno, La intervencion de la Iglesia cit., pp. 179-181.


                   n.42                            Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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