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Gaudioso (saggi)_4  25/04/18  11:47  Pagina 64






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                 Regolari («Episcopus tamquam pater communis ipsorum vices sup-
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                 pleat») .
                    Altro punto spinoso era quello della volontà degli eredi dei morti
                 intestati, da acquisire prima della redazione del testamento dell’anima.
                 La questione si presentava assai delicata e conflittuale nei casi di oppo-
                 sizione parentale, per il cui superamento il vescovo poteva «etiam hae-
                 redem dissentientem coercere», a condizione però che si accertasse il
                 manifesto dissenso, che, come raccomandato, il 5 febbraio 1591, dalla
                 Congregazione con specifico riferimento all’operato del vescovo di Bria-
                 tico, doveva essere chiaramente espresso e non supposto, onde evitare
                 liti con gli eredi e conflitti giurisdizionali con le autorità civili (in parti-
                 colare il Consiglio Collaterale), intervenute in più occasioni per ribadire
                 che «La legge ha consentito che l’homo possa morire ab intestato, et
                 non ci è legge naturale canonica o civile, che ordini, o consenta che il
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                 vivo habia da fare il testamento al morto» .
                    Un  caso  emblematico,  in  tal  senso,  era  la  «magna  altercatio»,
                 insorta in Calabria, tra il vescovo di San Marco Antonio Migliori e la
                 marchesa di Corleto Lucrezia Carafa, vedova del barone Ippolito San-
                 severino, deceduto ab intestato e, per tale circostanza, i suoi beni
                 patrimoniali erano stati oggetto di un acceso contenzioso innescato
                 dalla volontà del vescovo di pretendere una somma consistente pro
                 anima del defunto, corrispondente alla “quarta” dei beni mobili (sti-
                 mata in alcune migliaia di ducati). Nonostante gli interventi vicereali
                 che avevano ingiunto al Migliori di non molestare la vedova, il vescovo
                 ricorse con estrema decisione ai “cartoni” di scomunica nei confronti
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                 di tutti coloro che si opponevano alle proprie richieste . In partico-
                 lare,  il  viceré,  conte  di  Miranda,  il  31  maggio  1588,  ingiunse  al
                 vescovo di non pretendere «indistintamente» la «integra quarta parte
                 de tutti li mobili» della ricca eredità Sanseverino, soprattutto se la
                 somma pretesa non fosse stata utilizzata con finalità pro anima e ad
                 pias causas («cosa molto empia, irrationabile, et grave corrottela repu-
                 gnante alli Sagri Canoni et ad ogni legge civile, e naturale»), in quanto
                 non si poteva imporre il testamento, soprattutto post mortem . In rife-
                                                                            52
                 rimento a questo clamoroso caso, coinvolgente le massime autorità
                 regnicole (il viceré e il Consiglio Collaterale), il de Estrada, pur soste-




                    49  F. de Estrada, Discursus iuridicus cit.
                    50  L’affermazione è del delegato della Real Giurisdizione, Fulvio di Costanzo, che così
                 si espresse nel 1607 (Asn, Delegazione della Real Giurisdizione, vol. 177, fasc. 12, f. 2).
                    51  B. Chioccarello, De Testamentis cit., c. 43r-v.
                    52  Ivi, cc. 43v-44r, 50r.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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