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                    «Così come in Europa si svilupparono diversi linguaggi, alla stessa
                 maniera gli organi europei suonano in maniera differente, hanno
                 “pronunzie” caratteristiche che rivelano la regione d’origine dell’or-
                                      1
                 ganaro che li costruì» . La scuola organaria siciliana si è caratteriz-
                 zata per il suo forte attaccamento a tradizioni costruttive “arcaiche”
                 e per la lentezza nel recepire innovazioni che si andavano affermando
                 nel resto d’Italia, così che i suoi organi antichi serbano soluzioni
                 arretrate anche di parecchi decenni rispetto a quelli fabbricati nel
                 resto  del  continente  europeo.  Questa  resistenza  nell’inseguire  il
                 nuovo, il moderno, probabilmente anche per ragioni di disponibilità
                 economiche nella considerazione che l’organo è in genere il pezzo più
                 costoso dell’arredo liturgico, si è manifestata in maniera particolar-
                 mente accentuata nel comprensorio delle Madonie. Il risultato finale
                 è  stato  che  i  paesi  madoniti,  oggi  ricadenti  tutti  nella  diocesi  di
                 Cefalù, ma in passato anche in quelle di Messina e Nicosia, conser-
                 vano un eccezionale corpus di organi antichi artigianali che hanno
                 subito poche modifiche strutturali e, mantenendo canne originarie,
                 a volte, hanno conservato stilemi costruttivi che non sono più regi-
                 strabili altrove, assumendo così un valore storico e musicologico di
                 grande interesse. Questo è il caso dell’organo della chiesa ex conven-
                 tuale di S. Francesco di Castelbuono, solo organo cinquecentesco
                 della diocesi, che il recente restauro ha rivelato essere stato costruito
                 nel  1547,  risultando  uno  dei  più  antichi  d’Italia 2  (e  quindi  del
                 mondo), capace di riprodurre sonorità rinascimentali allo stato puro,
                 altrove non più possibili, stante il mantenimento di significative com-
                 ponenti originarie.
                    A  Castelbuono,  a  lungo  capitale  dello  “Stato”  dei  Ventimiglia  di
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                 Geraci , l’organo non è stato solo prerogativa delle numerose chiese
                 locali (compresa la cappella palatina di Sant’Anna), ma è stato tenuto
                 in gran conto anche negli ambienti della corte feudale, se già nel Cin-
                 quecento un suo esponente, don Cesare Ventimiglia, nel 1579 chiedeva
                 un claviorgano al maestro palermitano Nicolò Angelo Testaverde .
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                    1  D. Cannizzaro, Cinquecento anni di arte organaria italiana. Gli organi della diocesi
                 di Cefalù, Bagheria, 2005, p.9.
                    2  Sull’organo cfr. Ivi, p. 12-14, 55-56; S. Ingoglia, Il suono del Rinascimento. Il restauro
                 dell’organo della chiesa di San Francesco d’Assisi a Castelbuono in E. D’Amico (a cura
                 di), Una vita per il patrimonio artistico: contributi in onore di Vincenzo Scuderi, Kalós,
                 Palermo 2013, pp. 48-49.
                    3  Sul centro cfr. O. Cancila, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, Associazione Medi-
                 terranea, Palermo, 2010; Id., Nascita di una città Castelbuono nel XVI secolo, Associazione
                 Mediterranea, Palermo, 2013; Id., I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), Associazione Medi-
                 terranea, Palermo, 2016. I tre testi citati nella presente nota sono consultabili e scarica-
                 bili sul sito on line www.mediterranearicerchestoriche.it.
                    4  Id., Nascita di una città cit, p. 730.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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