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           mente prendendo le distanze dal “ricordare” proustiano, il nostro
           percorre le vie della complessa ricostruzione di una storia in cui luo-
           ghi e persone sono colti nel profondo legame che si stabilisce tra
           spazio e società. E viene subito da chiedersi da dove provenisse que-
           sta sensibilità e questa capacità di leggere la complessità urbana,
           prevalente  essendo  nella  letteratura  di  quegli  anni  una  linea
           appunto per così dire proustiana che scioglieva ‘nell’immaginazione’
           la descrizione. Sin dall’inizio (lo vedremo a breve) la differenza dal-
           l’autore  della  Recherche è  rivendicata  e,  alla  fine  del  racconto,
           ancora ribadita contrapponendo alla tazza di tè di Proust una tazza
           di caffè che i protagonisti bevono centellinandolo dopo una lunga
           privazione: «quasi che in quella tazza … ciascuno stesse vivendo non
           tanto la malinconia del proprio passato, come nella tazza di tè di
           Proust, bensì il vibrante timore del presente, l’orrore del futuro»
           (p.125).
               Se il caffè del signor Domenico (il marito della proprietaria della
           pensione dove il nostro adolescente e i suoi compagni alloggiano) ha
           un sapore diverso, ben più forte e tragico del tè proustiano, altrettanto
           netta  appare  un’altra  differenza  evidenziata  dal  confronto  con  le
           ‘assenze’ nella descrizione di Orano di Camus e le ‘presenze’ in quella
           di Addamo. In effetti analoga rispetto a Proust è la presa di distanza,
           sia pure apparentemente meno esplicita. Si rilegga e confronti l’am-
           bientazione urbana del romanzo La peste dello scrittore francese, di
           cui lo scrittore lentinese si è con grande lucidità occupato proprio negli
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           anni di elaborazione del suo ‘serale’ giudizio .
               Con il romanzo di Camus non mancano invero punti di contatto e
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           rinvii ,  ma  la  rappresentazione  di  Catania  sembra  per  più  aspetti
           costruita e contrario rispetto a quella di Orano, la città franco-algerina
           dove è ambientata La peste. Come Camus anche Addamo avvia il rac-
           conto con la descrizione dei luoghi dell’azione. Ma gli stessi elementi
           che in Camus sono invocati a definirla per assenza, in Addamo diven-
           tano presenze. Camus, Orano: «la città in se stessa, bisogna ricono-
           scerlo, è brutta ... Come immaginare, ad esempio, una città senza
           piccioni, senza alberi e senza giardini, dove non si trovano né battiti
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           d’ali né fruscii di foglie» . Addamo, Catania: «un’ampia conca circon-
           data di alberi e di silenzio, e le case, i palazzi, le strade, gli alberi folti




               10  S. Addamo, Introduzione a Albert Camus, «Annuario dell’Istituto Magistrale Tur-
           risi Colonna 1968-69», Catania 1969, pp. 145-162.
               11  Debbo a Silvano Nigro l’indicazione del saggio di Addamo su Camus, di cui alla
           nota precedente, e di alcune analogie tra Il giudizio della sera e La peste.
               12  A. Camus, La peste, in Id., Opere. Romanzi, racconti, saggi, a cura di Roger Gre-
           nier, Bompiani, Milano, 2000, p. 373.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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