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           riferimento al complesso urbano, in un legame che – s’è visto – l’autore
           teorizza  e  quasi  rivendica  per  comprendere  il  ‘senso  della  città’.
           Rispetto alle tradizionali ‘vedute’ dei viaggiatori sette-ottocenteschi da
           cui questo schema proviene, la prospettiva di Addamo è però rove-
           sciata. In quelle, sulla città ‘vista’ dal mare il vulcano sovrastava con
           la sua mole imponente, spesso distraendo l’osservatore, affermandosi
           come principale motivazione della veduta. Nel nostro romanzo l’Etna è
           ‘alle spalle’ e se pure si staglia «nei giorni di sereno» («ancora non osta-
           colata dall’implacabile cemento»: un altro raffronto passato /presente
           affidato a una notazione topografica), resta fuori dalla visuale dello
           scrittore. La città è il suo vero centro di interesse e alla concreta arti-
           colazione urbana sono legati uomini e vicende.
               Si osservi la descrizione del fascismo e del consenso di cui godeva
           tra la popolazione e in particolare tra i giovani, Gino e i suoi amici tra
           questi.Il racconto si addentra nei luoghi ‘strategici’ della vita cittadina:
           le piazze e soprattutto il bar, luogo di socialità per eccellenza, e la
           scuola (data l’età dei protagonisti). Nel bar, dove i maschi si accampano
           per  parlar  di  donne  e  giocare  a  carte,  Gino  apprende  l’ingresso  in
           guerra dell’Italia nell’estate del ’40. Ed è nei bar, più che in piazza dove
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           l’adesione al fascismo è ridotta a uno “spasimo” , che il consenso
           diviene “entusiasmo”, “fede”, quotidiana identificazione: «Le carte geo-
           grafiche nei bar erano festanti di bandierine, e dietro esse, dietro la
           cura dei padroni nel sistemarle e della gente nel rimirarle, c’era la fede
           della moltitudine …» (p 14). Pubblicando il suo racconto prima dell’In-
           tervista sul fascismo di Renzo De Felice (1975, e tanto scalpore suscitò
           in una cultura di ‘sinistra’ all’epoca imperante), con la distinzione/con-
           trapposizione tra “spasimo” e “entusiasmo” 22  (contrapposto anche alla
           credulità: del padre dice «Non era un credulone bensì un entusiasta e
           perciò era fascista» p. 17), tra piazza e bar, Addamo invita a una analisi
           non banale dell’inquietante ma innegabile fenomeno del consenso al
           fascismo. Perché lo «spasimo … era la risposta alla lunga stimolazione


               21  «La gente era in preda a qualcosa che si poteva chiamare entusiasmo, e invece
           non era, poiché trattavasi di quel tal spasimo che per esempio coglie le anime dannate
           davanti all’Acheronte», p. 15.
               22  Non vorrei forzare la lettura del testo di Addamo, ma mi pare di riscontrare (senza
           voler ipotizzare dipendenze o conoscenze) una qualche analogia con le osservazioni di
           E.P. Thompson, che all’incirca negli stessi anni, elaborava una proposta innovativa per
           la comprensione dei tumulti popolari di antico regime tradizionalmente spiegati in ter-
           mini di “spasmo”, risposta a uno stimolo prodotto dalla fame. Thompson spingeva l’in-
           dagine  più  in  profondità  e  si  interrogava  sul  contesto  colturale  di  riferimento  delle
           comunità, sui processi culturali rivelati/attivati dalla ‘protesta’. Cfr. E.P. Thompson,
           Società patrizia, cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Set-
           tecento, Einaudi, Torino, 1981 (i saggi qui raccolti erano stati pubblicati tra gli anni
           1967-1978, in particolare nel 1971 su “Past and Present” era apparso il saggio The Moral
           Economy of the English Crowd in the XVIIIth Century con il quale noto analogie).



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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