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               “Sistema globale” (le virgolette nel testo) è citazione riconducibile
           a una visione strutturalista della città che serve ad Addamo per dipa-
           nare l’apparente caos urbano, renderlo leggibile, quasi trasparente
           come nelle vedute dei racconti di viaggio sette-ottocenteschi alla Houel
           che  disponevano  ad  anfiteatro  paesi  e  città  e  vi  inserivano  le  loro
           vignette. Qui lo strumento di lettura è la città come un insieme, un
           sistema appunto. Ad Addamo la ‘logica’ e la ‘necessità’ delle ‘localizza-
           zioni’ consente di delineare con tratti nitidi la topografia sociale cata-
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           nese che è gerarchia di luoghi e gruppi sociali : in cima «il nucleo
           patrizio che per quel tempo ancora abitava i cupi settecenteschi palazzi
           di via Etnea», poi il viale (XX Settembre) dove risiedeva «la sfavillante e
           agreste borghesia», procedendo per via Ughetti («nuovo quartiere» della
           media borghesia), per concludere in basso con «la massa degli iloti che
           viveva (e vive) nelle asserragliate case di San Cristoforo e di tutta quella
           zona che dal fortino giunge al porto e alla stazione» (p. 11).
               «Viveva» e «vive»: nel racconto non sono frequenti questi confronti
           tra l’allora (anni’40) e l’oggi (1974). Significativamente ricorrono quasi
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           sempre a proposito della topografia urbana, di cui avvia per contrasto
           la descrizione marcando una netta tragica distanza tra presente e pas-
           sato: «Adesso Catania [che allora «si mostrò subito tenera e profonda»]
           è città anonima e mortale. Ma in quegli anni …» (p. 10). Questa presa
           di distanza dal presente così duramente condannato, preannuncia però
           la morte del mondo («il mite candore d’un mondo borghese che ancora
           non sapeva di contemplare la propria morte», p. 12) che l’autore si
           accinge a descrivere e che alla fine del romanzo verrà sepolto definiti-
           vamente sotto la polvere delle macerie e sotto le risate dell’adolescente
           protagonista del romanzo (Gino, venuto a Catania «a farvi il liceo che a
           Lentini mancava», p. 7). È alla trasformazione della topografia urbana
           che Addamo affida prioritariamente la ‘testimonianza’ del mutamento,
           della fine, per restare alla sua visione delle cose. Così accade nella det-
           tagliata descrizione del percorso delle prostitute verso i luoghi di lavoro
           «lungo i marciapiedi di via Di Sangiuliano … o verso via Di Prima e poi
           … a San Berillo che è (o era …: adesso San Berillo non c’è più … i luo-
           ghi e il senso di essi, i volti, gli odori sono fermi e vivi solamente nella
           memoria …) il regno delle prostitute» (p.31).


               18  E anche in questo caso si coglie la distanza da Camus: laddove questi pur descri-
           vendo, come Addamo, le spinte di fondo dall’agire urbano («I nostri concittadini lavorano
           molto, sempre per arricchire» e «gli uomini e le donne si divorano rapidamente in quello
           che si chiama l’atto d’amore», A. Camus, La peste cit. p. 374), abbandona subito i luoghi
           per addentrarsi nella riflessione sulla condizione esistenziale degli abitanti, il nostro li
           àncora alla topografia sociale.
               19  Il terzo raffronto non ha lo stesso rilievo degli altri due e serve soprattutto a ten-
           tare una spiegazione/giustificazione dell’ossessione sessuale dei regimi dittatoriali di
           contro a una presunta minore virilità della democrazia. Cfr. p. 45.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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