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Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 345



             i regimi, compresi e non esclusi quelli democratici, dovrebbero … compulsare
             le statistiche sull’uso di sapone e detersivi, dare un’occhiata alla pulizia delle
             strade … ché forse meglio di tanti Gallup o Doxa potrebbero ricavare l’indice
             di gradimento e la quantità di consensi (p. 129).
                  Così ancora una volta Addamo non manca di sorprenderci. Per
             un’attenzione significativa agli “odori” da parte degli storici occorrerà
                                                                               28
             attendere il libro (del 1986) di Alain Corbin Le miasme et la jonquille .
             Nel racconto di Addamo, che sfortunatamente Corbin non conosce (e
             vi avrebbe trovato non poche indicazioni interessanti), l’odore in qual-
             che modo definisce, come spesso avviene nell’esperienza, l’identità dei
             luoghi. Il primo ‘riconoscimento’, la prima ‘appropriazione’ della casa
             dove i nostri adolescenti vanno a vivere a Catania, passa per l’odore:
             «la stanza dove stagnava un odor di cesso e veniva dalla casa, dalle
             scale, dallo stesso vicolo, da tutto il quartiere». E ciò offre l’estro a pren-
             dere le distanza da «catechismo e prediche pasquali e pastorali», pro-
             fondamente contraddette nella loro affermazione che «noi siamo …
             spirito, anima, ragione, tutte cose che non fanno odore» (p. 7). L’odore
             individua anche una gerarchia urbana capovolta (nella scelta ambien-
             tale dello scrittore i quartieri ‘odorosi’ sono i protagonisti): «era l’odore
             di un quartiere che ha odore, poiché ci sono quartieri senza odore,
             c’erano allora a Catania, asettici, silenziosi, raggomitolati in sé, separati
             e pignolescamente puliti» (p. 7).
                  Di più, appiccicandosi alle persone, esso stabilisce un’ulteriore
             identificazione tra spazi, persone e gruppi sociali. Il padre di Gino odora
             di concime, le donne sono «odore di donna», le prostitute sono «odore
             di sudore», così come l’agognata e idealizzata dirimpettaia Wanda, «la
             signora» che suscita nei nostri adolescenti la «tristezza» prodotta «dalla
             lontananza, dalla distanza in cui essa era o la ponevamo», meta «impos-
             sibile» che «dava al nostro amore un che di irreparabile e di conchiuso»,
             evoca in Gino «come a casa … l’odore del gelsomino nell’estate che
             veniva con l’aria e con il respiro e impregnava gli abiti e la pelle» (p.
             30). Non c’è solo il cattivo odore nel racconto, anche se quest’ultimo
             infine s’impone per esprimere un mondo in decomposizione. Della casa
             delle zie, cui «fin verso i dieci anni» era stato in parte affidato, Gino
             ricorda «l’odore di legno crudo, di farina, di miele che riempiva tutti i
             locali» (p. 54).
                  Significativamente non hanno odore i tedeschi, la cui improvvisa
             presenza per le strade e i bar della città ne ribadisce l’‘estraneità’ ai





                  28  A. Corbin, Le miasme et la jonquille, Flammarion, Paris, 1986. Edizione italiana:
             Storia sociale degli odori, Bruno Mondadori, Milano, 2005.


             n.43                            Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018
                                                      ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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