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344 Enrico Iachello
Si svela così un’efficacia persuasiva e una identificazione affidata
anche al ‘potere’ delle immagini. Questa identificazione istalla nella
mente del ragazzo degli anticorpi verso tutto ciò che poteva definirsi
antifascismo. Alla “rivelazione” dell’esistenza di un antifascista (il pro-
fessore Sanfilippo, di cui gli parla Morico), Gino ha come uno choc: «La
parola [antifascista] mi suonò secca come un botto, vagamente arcana
ed evocativa. “Antifascista” aveva per me il senso del vuoto era il non
essere più che un altro modo di essere» (p. 89).
Anche la riflessione sull’antifascismo, disincantata, critica, a tratti
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eccessivamente liquidatoria , viene ancorata allo spazio urbano. È
dentro la casa di Sanfilippo che con Morico e Gino siamo condotti. E
qui riemerge il tratto caratteristico dell’esperienza urbana dei nostri
protagonisti e dell’approccio di Addamo alla città. Della casa in primo
e quasi esclusivo piano abbiamo informazione attraverso l’odore: «la
casa aveva il cattivo odore delle case vecchie e umide e mal lavate, e
un poco di quel tanfo il professore se lo portava dietro poiché adesso
che ero lì e lo fiutavo, lo trovavo identico a quello che a scuola avevo
già percepito» (p. 89). Non ha porte, finestre e balconi la casa nella
descrizione di Addamo, e non ha quasi arredi, ma solo un odore che il
protagonista ‘fiuta’. A rendere organico, ancor più evidente e quasi direi
‘fisicamente sensibile’, il rapporto strutturale tra spazio e attori (cui
spesso questi odori si appiccicano addosso, come il tanfo al professor
Sanfilippo), Addamo si serve degli odori. All’inizio del libro vi è in tal
senso un’esplicita dichiarazione che fornisce al lettore una chiave di
lettura, così come ai giovani protagonisti della vicenda l’accesso alla
nuova dimensione urbana: «assorbivamo l’odore della casa e del vicolo
e del quartiere come se il naso, che è veicolo o tramite si fosse per noi
tramutato in mezzo di possesso e di dominio» (p.9). Verso la fine della
narrazione, l’odorato – a ribadirne l’importanza ‘conoscitiva’ – si pro-
pone persino quale criterio per misurare il consenso:
27 Addamo decide, credo ingenerosamente, di fare piazza pulita prima ancora che
dei padri, dei nonni, e fa fuori Croce e l’antifascismo liberale, pagando un pesante tributo
al luogo comune della cultura marxista dell’epoca, contrapponendo «la scaltra coscienza
dell’intellettuale» alle «rozze mani del cafone» (p. 89) sino ad infierire, anche questo tenace
luogo comune ideologico, contro gli «intellettuali» così «untuosamente liberali» da cadere
«sempre all’impiedi» (p. 90). Da qui il passo è breve per una svalutazione dell’antifascismo
meridionale (p.118), «imbelle» contraltare di un regime «ridicolo» (p. 116). Con conse-
guenze paradossali sul «nuovo ordine» postfascista ridotto a continuare il vecchio sem-
plicemente limitandosi a rovesciare il segno (p. 118). E pagando stavolta un prezzo
significativo anche alla tradizione letteraria siciliana (grande tradizione, per carità, ma
nutrita – e alimentatrice – di un’immagine metafisica dell’isola), concluderà che «la Sicilia
sta ancora attendendo la ‘sua’ storia» (ibidem). Ma in tal modo il passato, anziché restare
«alle nostre spalle» (p.89) – Addamo sembra non accorgersene – ghermisce il futuro.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n.43
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)