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               Si svela così un’efficacia persuasiva e una identificazione affidata
           anche al ‘potere’ delle immagini. Questa identificazione istalla nella
           mente del ragazzo degli anticorpi verso tutto ciò che poteva definirsi
           antifascismo. Alla “rivelazione” dell’esistenza di un antifascista (il pro-
           fessore Sanfilippo, di cui gli parla Morico), Gino ha come uno choc: «La
           parola [antifascista] mi suonò secca come un botto, vagamente arcana
           ed evocativa. “Antifascista” aveva per me il senso del vuoto era il non
           essere più che un altro modo di essere» (p. 89).
               Anche la riflessione sull’antifascismo, disincantata, critica, a tratti
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           eccessivamente liquidatoria , viene ancorata allo spazio urbano. È
           dentro la casa di Sanfilippo che con Morico e Gino siamo condotti. E
           qui riemerge il tratto caratteristico dell’esperienza urbana dei nostri
           protagonisti e dell’approccio di Addamo alla città. Della casa in primo
           e quasi esclusivo piano abbiamo informazione attraverso l’odore: «la
           casa aveva il cattivo odore delle case vecchie e umide e mal lavate, e
           un poco di quel tanfo il professore se lo portava dietro poiché adesso
           che ero lì e lo fiutavo, lo trovavo identico a quello che a scuola avevo
           già percepito» (p. 89). Non ha porte, finestre e balconi la casa nella
           descrizione di Addamo, e non ha quasi arredi, ma solo un odore che il
           protagonista ‘fiuta’. A rendere organico, ancor più evidente e quasi direi
           ‘fisicamente sensibile’, il rapporto strutturale tra spazio e attori (cui
           spesso questi odori si appiccicano addosso, come il tanfo al professor
           Sanfilippo), Addamo si serve degli odori. All’inizio del libro vi è in tal
           senso un’esplicita dichiarazione che fornisce al lettore una chiave di
           lettura, così come ai giovani protagonisti della vicenda l’accesso alla
           nuova dimensione urbana: «assorbivamo l’odore della casa e del vicolo
           e del quartiere come se il naso, che è veicolo o tramite si fosse per noi
           tramutato in mezzo di possesso e di dominio» (p.9). Verso la fine della
           narrazione, l’odorato – a ribadirne l’importanza ‘conoscitiva’ – si pro-
           pone persino quale criterio per misurare il consenso:





               27  Addamo decide, credo ingenerosamente, di fare piazza pulita prima ancora che
           dei padri, dei nonni, e fa fuori Croce e l’antifascismo liberale, pagando un pesante tributo
           al luogo comune della cultura marxista dell’epoca, contrapponendo «la scaltra coscienza
           dell’intellettuale» alle «rozze mani del cafone» (p. 89) sino ad infierire, anche questo tenace
           luogo comune ideologico, contro gli «intellettuali» così «untuosamente liberali» da cadere
           «sempre all’impiedi» (p. 90). Da qui il passo è breve per una svalutazione dell’antifascismo
           meridionale (p.118), «imbelle» contraltare di un regime «ridicolo» (p. 116). Con conse-
           guenze paradossali sul «nuovo ordine» postfascista ridotto a continuare il vecchio sem-
           plicemente limitandosi a rovesciare il segno (p. 118). E pagando stavolta un prezzo
           significativo anche alla tradizione letteraria siciliana (grande tradizione, per carità, ma
           nutrita – e alimentatrice – di un’immagine metafisica dell’isola), concluderà che «la Sicilia
           sta ancora attendendo la ‘sua’ storia» (ibidem). Ma in tal modo il passato, anziché restare
           «alle nostre spalle» (p.89) – Addamo sembra non accorgersene – ghermisce il futuro.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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