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           dell’epoca, asfissiante e dogmatica al punto da spingere il nostro a
           inventare (ed è quasi uno schiaffo agli ‘ortodossi’) gli Scritti apocrifi di
           Marx  dove  la  prostituzione  è  individuata  come  «la  prima  forma  di
           baratto per l’uomo … ingresso nel mondo e conoscenza – presa di pos-
           sesso di questo», ma anche «intuizione di un destino futuro». A com-
           prendere  e  reggere  le  metamorfosi  drammatiche  di  Domenico
           duchessa, uomo, trasformato dal denaro (di più: esistente «in quanto
           esisteva il denaro», p. 109), nel trasformarsi «del mondo e degli altri
           uomini» (ibidem), Addamo convoca quindi Sciascia, Pasolini e Marx,
           quest’ultimo ‘inventato’, per sottrarlo ai marxisti. Con questi compa-
           gni/sodali il nostro può immergersi nell’analisi (nella contemplazione?)
           dell’inferno che attende alla fine uomini e cose a Catania. E l’inferno,
           come insegnavano i trattati cinquecenteschi, è un nauseabondo ser-
           batoio di fetori e il naso, che ha condotto i nostri adolescenti alla cono-
           scenza della città, si conferma ancora una volta l’organo più adatto a
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           farne esperienza , ma l’occhio avrà – lo vedremo – la sua parte in un
           crescendo che è anche prova coraggiosa, forse anche ‘audace’, ma mai
           arbitraria, nel romanzo.
               «Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente senza alcun pre-
           avviso, dilagò, s’impose» (p.127). L’odore che prima distingueva, indi-
           viduava, differenziava, «s’impossessò della città», imprigionandola in
           una cappa uniforme:

           non ci fu difesa, né riparo, né volontà e possibilità e man mano salendo dai
           vecchi quartieri di San Cristoforo, dalle miserabili zone del porto e della sta-
           zione, dai lerci abituri bordellosi di via Maddem e via Rapisarda, invase le arte-
           rie del centro, via Etnea e via Umberto, la zona di via Ughetti, la villa Bellini, il
           viale (ibidem).
               Dapprima solo evocati dagli odori, gli escrementi improvvisamente
           impongono al racconto e alla città la loro materialità: «le chiazze di
           urina erano in ogni dove», «le strisce d’urina imbevevano gli asfalti, s’in-
           seguivano, s’aggrovigliavano, costituendo macchie frastagliate, astratti
           paesaggi limacciosi che … nessuna pioggia riusciva a lavare» (p.128).
           E sui luoghi, bar, vie, viali, marciapiedi, piazze, elencate e chiamate
           per nome da Addamo quasi a serbarne memoria nel disfacimento («le
           fragili piazze di Catania», p. 127), si depositano stabilmente «queste
           macchie sontuose e unte che sempre più si allargavano e ispessivano».
           L’urbanità svanisce: «finì la decenza, il decoro, il pudore, il rispetto. Si
           pisciava di notte e di giorno, in ogni luogo e con ogni tempo» (p.127).



               34  Sul tema cfr. P. Camporesi, Odori e sapori, introduzione a A. Corbin, Storia sociale
           degli odori cit., p. XIII-XIV.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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