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Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 349
comincia con il vecchio «gioco delle tre carte» destinato ad abbindolare
i soldati tedeschi «che arrivavano a frotte» per puntare, vincere e per-
dere, sino a quando il signor Domenico, pago del guadagno poneva fine
al gioco fingendo l’arrivo della polizia: «l’ultimo estremo gioco del signor
Domenico: li aveva fottuti» (p. 85); si passa per una visione preoccupata
della guerra appena le vicende cominciano a volgere al peggio: « quasi
quasi vi dico che saremo fottuti» (p. 110), è il commento sempre del
signor Domenico e poco oltre sembra fargli eco da Lentini (eliminando
però il quasi) il padre di Gino che, guardando le arance invendute a
terra e rendendosi conto della fine del suo sogno di arricchimento,
esclamerà: «la guerra ci ha fottuto, figliolo» (p. 119); si approda alla
tanta agognata e infine realizzata iniziazione sessuale dei nostri adole-
scenti che, appunto, si capovolge. Finalmente in contrattazione con
una prostituta per il prezzo della prestazione, i nostri giovani provano
a tirare sul prezzo. Basta tuttavia che lei alzi la veste e mostri «tutte le
gambe che biancheggiarono sotto la luce» perché le si gettino addosso
senza più alcuna capacità contrattuale: «abbassò la veste. Fottuti. Ci
aveva fottuti» (p.98).
E tuttavia se è il duca «la fottuta e la duchessa il fottitor», non ci
sono più certezze, il mondo si fa opaco, caotico, sorprendente. È un
mondo alla rovescia quello in/definito dell’accordo al femminile per il
duca e al maschile per la duchessa, il disvelamento delle apparenze
paradossalmente produce la fine della trasparenza urbana. Da allora
nulla è come prima nel racconto, nulla resta al suo posto. In un mondo
dove il vestito non è di lana, ma di erba, e la lotta per la sopravvivenza
si fa sempre più dura, via via che la penuria bellica avanza, ogni azione
si svolge tra il “fottere” e “l’esser fottuti”, senza mai certezza, anche se
a salvare quel che resta – quando resta – della dignità la nuova polarità
si può rivelare un comodo appiglio. Il signor Domenico dal gioco delle
tre carte passa al mercato nero e traffica con i tedeschi, cui procura
anche le donne. A Pippo (il più granitico fascista dei nostri adolescenti)
che gli rimprovera di fare il ruffiano, obietta: «Faccio il ruffiano ai tede-
schi. E con ciò? Loro fottono e io mangio e mangiamo tutti, e i fottuti
chi sono? Ecco: chi sono i fottuti?». I tedeschi ovviamente, a suo dire,
perché se «la duchessa è il fottitor», «la duchessa sono io, … almeno
per ora sono io» (p. 101), così sottolineando però la fragile precarietà
della nuova identità. Alla fine non ci saranno più duchesse. La guerra
imporrà la sua terribile verità: la guerra «ci aggredì, ci penetrò, ci invase
e ne fummo ora veramente e finalmente posseduti prima ancora di
sapere se mai per una volta l’avessimo noi posseduta» (p. 128). ‘Posse-
duti’, ‘posseduta’ è una variante, chiaramente, di ‘fottuti e fottitor’.
Catania precipita rovesciandosi.
E la prima drammatica caduta è quella della “signora Wanda”.
Perde l’onore e l’odore (di gelsomino) Wanda nel momento in cui si
n.43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)