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           scio della realtà. Prima che tutto precipiti rotolando nel disfacimento
           morale e materiale, una disperata inquieta ironia si accampa nel rac-
           conto, a fornire una nuova e più complessa (al di là dell’apparente
           sberleffo) chiave di lettura che consenta di ‘svelare’ la realtà, la cui
           ‘verità’ è tuttavia destinata a farsi via via più indistinta, opaca. Irrompe
           nella prosa un epigramma destinato quasi a divenire un ritornello, più
           volte ripreso nel corso del racconto.

                                      Ella è gaia, vispa e allegra,
                                      lui pieno di languor.
                                      Sembra il duca la fottuta
                                      la duchessa il fottitor

               Sono gli stessi versi, racconta Luigi Russo, che Benedetto Croce
           amava ripetere a memoria raccomandandogli di non scordarli. Appar-
           terrebbero, secondo Russo, al napoletano duca Francesco Proto di
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           Maddaloni . Il signor Domenico, cui Addamo lo fa recitare, lo attribui-
           sce ad «un amico di Napoli» che «me l’ha insegnato» (p.63). L’attribu-
                                    31
           zione  è  in  realtà  incerta ,  Addamo  che  ha  troppo  sbrigativamente
           liquidato Croce li attribuisce a Ferdinando Galiani. Da questo momento
           comunque «la struttura e la composizione del mondo si ordinarono …
           nelle due categorie di fottuti e fottitori» (p. 64). E il primo personaggio
           a fare il suo ingresso baldanzoso in questa nuova bipolarità è proprio
           il signor Domenico che finirà con l’identificarsi con la duchessa. Si






               30  L. R. (Luigi Russo), recensione a Antologia di poeti napoletani, a cura di Alberto
           Consiglio, Firenze, Parenti, 1956, «Belfagor. Rassegna di varia umanità» vol. XI, 1956, p.
           115. La versione trascritta a memoria da Russo, oltre a non riportare la versificazione e
           adottare  una  punteggiatura  differente,  presenta  altre  varianti  rispetto  a  quella  di
           Addamo: “arguta” al posto di “allegra”; “egli” al posto di “lui”. Sul duca di Maddaloni
           (1812-1895) cfr. Antologia di poeti napoletani, cit., pp. 414-416 e Carlo Muscetta, Elsa
           Sormani (a cura di), Poesia dell’Ottocento, Einaudi, Torino 1968, vol. II,1294-1311. Sui
           rapporti tra Croce e il duca e sul suo apprezzamento dei “mordaci epigrammi dello
           stesso”, “notevoli per buona fattura letteraria”, cfr. B. Croce, Aneddoti di varia letteratura,
           Ricciardi, Napoli, 1942, vol. II, pp. 190-191. Croce non tralascia di citare in nota un altro
           epigramma del Maddaloni «che forse io solo ricordo, non essendo mai stato stampato»
           (Ivi, nota 1, p. 190). Raccolte di Epigrammi del Maddaloni, in Duca di Maddaloni e Mar-
           chese di Caccavone, Epigrammi vesuviani, O.E.T., Roma s.d., a cura di A. Consiglio.
               31  Debbo a Silvano Nigro l’indicazione dell’importanza nel racconto di Addamo del-
           l’epigramma che, riferisce ancora Nigro, egli riteneva di Ferdinando Galiani (che a volte
           firmava Onofrio Galeota). In effetti in ambito di tradizione orale ciascuno attribuiva
           all’uno o all’altro gli epigrammi licenziosi. Nelle antologie di epigrammi di Maddaloni
           citati alla nota 22, e in altre possedute dalla Società di Storia Patria Napoletana, non
           sono presenti i nostri versi. Per F. Galiani, cfr. F. Diaz, L. Guerci (a cura di), Illuministi
           italiani. Tomo VI. Opere di Ferdinando Galiani, Ricciardi, Napoli, 1975.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018      n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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