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348 Enrico Iachello
scio della realtà. Prima che tutto precipiti rotolando nel disfacimento
morale e materiale, una disperata inquieta ironia si accampa nel rac-
conto, a fornire una nuova e più complessa (al di là dell’apparente
sberleffo) chiave di lettura che consenta di ‘svelare’ la realtà, la cui
‘verità’ è tuttavia destinata a farsi via via più indistinta, opaca. Irrompe
nella prosa un epigramma destinato quasi a divenire un ritornello, più
volte ripreso nel corso del racconto.
Ella è gaia, vispa e allegra,
lui pieno di languor.
Sembra il duca la fottuta
la duchessa il fottitor
Sono gli stessi versi, racconta Luigi Russo, che Benedetto Croce
amava ripetere a memoria raccomandandogli di non scordarli. Appar-
terrebbero, secondo Russo, al napoletano duca Francesco Proto di
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Maddaloni . Il signor Domenico, cui Addamo lo fa recitare, lo attribui-
sce ad «un amico di Napoli» che «me l’ha insegnato» (p.63). L’attribu-
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zione è in realtà incerta , Addamo che ha troppo sbrigativamente
liquidato Croce li attribuisce a Ferdinando Galiani. Da questo momento
comunque «la struttura e la composizione del mondo si ordinarono …
nelle due categorie di fottuti e fottitori» (p. 64). E il primo personaggio
a fare il suo ingresso baldanzoso in questa nuova bipolarità è proprio
il signor Domenico che finirà con l’identificarsi con la duchessa. Si
30 L. R. (Luigi Russo), recensione a Antologia di poeti napoletani, a cura di Alberto
Consiglio, Firenze, Parenti, 1956, «Belfagor. Rassegna di varia umanità» vol. XI, 1956, p.
115. La versione trascritta a memoria da Russo, oltre a non riportare la versificazione e
adottare una punteggiatura differente, presenta altre varianti rispetto a quella di
Addamo: “arguta” al posto di “allegra”; “egli” al posto di “lui”. Sul duca di Maddaloni
(1812-1895) cfr. Antologia di poeti napoletani, cit., pp. 414-416 e Carlo Muscetta, Elsa
Sormani (a cura di), Poesia dell’Ottocento, Einaudi, Torino 1968, vol. II,1294-1311. Sui
rapporti tra Croce e il duca e sul suo apprezzamento dei “mordaci epigrammi dello
stesso”, “notevoli per buona fattura letteraria”, cfr. B. Croce, Aneddoti di varia letteratura,
Ricciardi, Napoli, 1942, vol. II, pp. 190-191. Croce non tralascia di citare in nota un altro
epigramma del Maddaloni «che forse io solo ricordo, non essendo mai stato stampato»
(Ivi, nota 1, p. 190). Raccolte di Epigrammi del Maddaloni, in Duca di Maddaloni e Mar-
chese di Caccavone, Epigrammi vesuviani, O.E.T., Roma s.d., a cura di A. Consiglio.
31 Debbo a Silvano Nigro l’indicazione dell’importanza nel racconto di Addamo del-
l’epigramma che, riferisce ancora Nigro, egli riteneva di Ferdinando Galiani (che a volte
firmava Onofrio Galeota). In effetti in ambito di tradizione orale ciascuno attribuiva
all’uno o all’altro gli epigrammi licenziosi. Nelle antologie di epigrammi di Maddaloni
citati alla nota 22, e in altre possedute dalla Società di Storia Patria Napoletana, non
sono presenti i nostri versi. Per F. Galiani, cfr. F. Diaz, L. Guerci (a cura di), Illuministi
italiani. Tomo VI. Opere di Ferdinando Galiani, Ricciardi, Napoli, 1975.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n.43
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)