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           e la proposta di un’estensione di questo accordo a tutto il Regno di
           Napoli e a tutto l’impero ottomano. Da ciò che emerge dal documento
           sembrerebbe che tra i due vi fosse già un vero e proprio accordo scritto,
           a cui bisognava aggiungere capitulj novj.



           Il contesto

              Il quadro che si può carpire dalla lettera va a correggere, almeno
           parzialmente  e  limitatamente  al  periodo  in  oggetto,  la  visione  del
           Salento come antemurale della Cristianità contro il mondo musul-
           mano. Infatti, l’atavica tendenza delle coste adriatiche a confrontarsi e
           a scambiarsi uomini e merci non venne meno neanche nel momento
           critico del passaggio dal XV al XVI secolo, quando l’impero ottomano
           si avviava all’apogeo della sua potenza e l’attrito con l’Occidente cri-
           stiano era inevitabile. Non si può negare che le zone costiere del Meri-
           dione d’Italia provassero un sentimento di inquietudine nei confronti
           del turbante turco e che questa costante paura fosse più che normale
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           per un territorio come quello salentino , memore della presa di Otranto
           del 1480 e che, solo pochi anni prima, era stato oggetto di diverse
           incursioni  provenienti  dal  mare:  nel  1510  il  capo  d’Otranto  aveva
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           subito due attacchi turchi ; nel 1511, navi turche erano sbarcate a San
           Cataldo e si erano impossessate del castello di Roca (oggi Roca Vec-
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           chia), macchiandosi di una strage efferata . Tuttavia, la lettera del san-


              6  In una sua lettera al conte di Potenza, datata agli ultimissimi anni del XV secolo,
           l’illustre umanista salentino Antonio de Ferraris, detto il Galateo, non solo metteva in
           guardia per la possibilità di un attacco turco verso la Puglia ma si diffondeva in un vero
           e proprio elogio del sano e ragionevole timore che bisognava nutrire verso un nemico peri-
           coloso come l’impero ottomano, che da poco aveva mostrato alla gente otrantina di quale
           efferatezza fosse capace (A. de Ferraris , De apparatu turcarum, in A. de Ferraris, Lettere,
           testo, traduzione e commento di A. Pallara, Conte editore, Lecce, 1996, pp. 183-198).
              Sul sentimento di inquietudine dei pugliesi in merito al pericolo delle navi in partenza
           da Valona e Durazzo nella prima età moderna, si veda: A. Spagnoletti, Un mare stretto e
           amaro. L’Adriatico, la Puglia e l’Albania (secc. XV-XVII), Viella, Roma, 2014, pp.13-32.
              7  M. Mafrici, Mezzogiorno e pirateria nell’età moderna (secoli XVI-XVIII), Edizioni Scien-
           tifiche Italiane, Napoli, 1995, pp. 57-58.
              8  L’episodio è raccontato con dovizia di particolari nella Cronaca di Notar Giacomo:
           «Et a dì primo de giugno 1511, de domenica, venne nova como galea una, sette fuste et
           una nave de turchi haveano smontato a sancto Cataldo in Terra de Otranto et che
           haveano presa la torre et che davano la bactaglia a Roca, quale era terra de Messere
           Raphaele de li Falcuni propinqua a Loze (Lecce) a 8 miglia, il quale torre la presero et in
           quella nce trovaro 12 homini, tra li altri uno preyte, dove undeci li fecero morire e lo preyte
           spartero per mezo». (T. Pedìo, Napoli e Spagna nella prima metà del Cinquecento, Francesco
           Cacucci Editore, Bari, 1971, p. 208). Il cronista Antonello Coniger data questo attacco al
           giorno 29 maggio e parla solo della presa della torre di San Cataldo, senza far menzione
           di Roca (M.A. Coniger, Le cronache, per Giuseppe Saverio Romano, Lecce, 1858, p. 86).



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018       n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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