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Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 257
Nel 1625 Baldassare Abruzzo ritornò a Castelbuono per esercitarvi
l’avvocatura e a lui il fratello Gaspare affidò la procura per transigere
per una somma non inferiore a 900 onze nella vertenza intentata dalla
famiglia contro gli zii materni circa l’eredità spettante alla madre Alta-
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donna . Un mese dopo si giunse alla transazione, che riconosceva agli
Abruzzo un indennizzo di onze 900 a carico di Paolo Ortolano fu Egidio,
nipote ex fratre di Altadonna, oltre a un terzo dell’eredità di Antonina,
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madre di Altadonna . L’anno successivo (1626) patrocinava presso la
Curia Marchionale in difesa del notaio Vincenzo Cridenzeri contro don
Francesco Aiello (credo fossero entrambi abitanti di Tusa): il giudice
Cesare Ventimiglia accettò la sua tesi secondo cui un salario non pat-
tuito a priori non era dovuto, ma era equo corrisponderlo se l’incom-
benza fosse stata faticosa, come nel caso di una tutela . Difese anche
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Clemente Castiglia nella causa con Leonardo Battaglia 57 e fu proprio
allora che, prevedendo non lontano un suo ritorno a Palermo, rilasciò
procura generale al fratello Gaspare, revocata un trentennio dopo, nel
1657. Nello stesso 1626 lo ritroviamo infatti a colloquio con il giure-
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consulto Simone Sitaiolo nella città di Palermo , dove dimorava («inco-
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latum facerem») anche nel 1627 . E fu certamente lui il difensore nella
Regia Gran Corte di Vincenzo Ruberto, suo cognato, contro il sacerdote
Michele Trentacoste, il quale dopo avergli concesso una dilazione quin-
quennale per il recupero di un credito continuava a molestarlo .
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Dalla fine degli anni Venti la sua presenza a Castelbuono si fece più
assidua, impegnato come avvocato, talora giudice compromissario e
54 Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2365, 5 agosto 1625, cc. 405r-v.
55 Ivi, b. 2366, 6 settembre 1625, cc. 5r sgg.
56 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 161: «licet regolariter
salarium non conventum non debeatur, tamen ex aequitate debetur, quando officium
fuit laboriosum». Cesare Ventimiglia, giudice della Gran Corte Marchionale dalla fine del
1622, era figlio di don Carlo, conte di Naso; aveva studiato a Pisa, dove fu anche testi-
mone di lauree nel marzo 1583 e nel marzo 1589 (R. Moscheo, Mecenatismo e scienza
nella Sicilia del ‘500. I Ventimiglia di Geraci ed il matematico Francesco Maurolico,
Messina, Società Messinese di Storia Patria, 1990, p. 166n), ma si laureò in utroque iure
a Bologna il 27 febbraio 1590 (M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”: i dottori
in diritto nello Studio di Bologna (1501-1796), Clueb, Bologna, 2005, p. 330). Nel dicembre
successivo, mentre egli rivestiva l’incarico di priore insieme con Francesco Claudini di
Mondaino, nell’atrio dell’Archiginnasio bolognese fu collocata una lapide in onore del
professore Melchiorre Zoppio con l’assenso dei sei assessori alla memoria, tra cui Ales-
sandro Tassoni, l’autore del poema eroicomico La secchia rapita.
57 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 177.
58 Id., Lectura practicabilis cit., p. 54.
59 Id., Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis cit., p. 157.
60 Id., Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 187: «debitor [recte: creditor] qui
obtenuit dilationem quinquennalem, ea dilatione pendente, non possit molestare suos
debitores».
n.43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)