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funzioni, delle strategie» (pp. 78-79). Qualcosa di un po’ più complesso,
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sia detto per inciso, della composite monarchy di Elliottiana memoria .
Giusto per citare qualcuno degli esempi più significativi di questi
spot per immagini e parole, ecco Filippo, insofferente delle «lentezze
procedurali e puntigli» oppostigli dalle Cortes d’Aragona convocate a
Monzón nel 1563-64, «dichiarare permanente la sessione e far portare
nel salone delle riunioni la sua cama [letto] come protesta per l’incon-
cludenza dei lavori», probabilmente anche un sottile riferimento all’antica
pretesa degli aragonesi «di governarsi come una famiglia basata sul ma-
trimonio» (p. 83); oppure il proverbiale infaticabile lavoro del sovrano
alla scrivania che coinvolgeva tutta la famiglia anche durante i periodi
di riposo trascorsi in qualcuno dei famosi sitios reales: «egli scriveva e
firmava, la regina asciugava l’inchiostro e le infanti portavano le carte a
un tavolo, ove Sebastiano de Santoyo, aiutante di camera per i papeles
[…] confezionava i plichi e li inviava ai segretari» (pp. 98-99). Anche in
fin di vita ai medici che gli consigliavano «di ridurre la propria attività e
di non esitare a lamentarsi per i dolori che lo tormentavano […] egli ri-
spondeva che i suoi dolori erano accidentali, “ma l’obligo del Prencipe
verso i suoi Stati [era] naturale”» (p. 250).
Nota era però anche la sua vendicatività, «di maniera che dicono in
Spagna per proverbio, che dal riso del re al coltello non vi sia differenza
alcuna» (p. 144); per non parlare dell’inflessibilità contro gli eretici,
animata da una fede personale spesso descritta come sincera ma
crudele nelle sue manifestazioni, anche quando ciò comportava dannose
conseguenze per la salute economica della Monarchia. Così, nel caso
della deportazione dei moriscos delle Alpujarras seguita alla repressione
della loro sollevazione (1568-70), Filippo, «espellendo dai tradizionali in-
sediamenti quei sudditi, già considerati “giumenti utilissimi all’operare
del duro aratro”, aveva preferito ridurre all’incolto i terreni già coltivati
e ciò aveva fatto “più tosto che di vedere incolta la vigna di Cristo”» (p.
164). Il difensore per eccellenza della fede cattolica ebbe ovviamente un
luogo “fisico” privilegiato anche nelle riunioni del concilio di Trento,
tanto che fu consentito «all’ambasciatore del re di sedere da solo in
mezzo alla sala, accanto al segretario del concilio» (p. 278).
In linea con questo approccio “visuale”, ampio spazio ha nel testo la
descrizione delle più svariate cerimonie che ebbero come protagonisti il
re, i suoi parenti e funzionari: dai riti religiosi di passaggio (battesimi,
promesse e cerimonie nuziali, funerali), a quelli di accesso alla sovranità
(giuramenti di fedeltà, incoronazioni, prese di possesso, ma nel caso del
padre Carlo V anche abdicazioni), dagli autos da fe inquisitoriali e le
processioni per invocare la grazia o il perdono divino, ai viaggi per le
terre europee della Monarchia e dell’Impero (quanto viaggiavano le élite
6 Il riferimento è ovviamente a J. H. Elliott, A Europe of Composite Monarchies, «Past
& Present», n. 137 (1992), pp. 48-71, ma cfr. anche il più recente Id., Imperi dell’Atlantico.
America britannica e America spagnola, 1492-1830, Einaudi, Torino, 2010, pp. 175-198.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Aprile 2019 n.45
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)