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                 relazioni di genere plasmino per tutti, uomini e donne, la costruzione
                 di una propria identità. Ma veniamo al contenuto del libro.
                    I ventitré saggi sono divisi in quattro sezioni tematiche intitolate: 1)
                 Ruoli sociali, 2) Immagini e rappresentazioni, 3) Identità e regolamen-
                 tazione, 4) Oltre il dualismo, che hanno al loro interno una buona omo-
                 geneità – mi sia solo permesso di notare che mi pare che l’unico saggio
                 non proprio omogeneo sia quello sulla architettura monastica femmi-
                 nile a Napoli.
                    Attingendo un po’ liberamente alle quattro sezioni e senza preten-
                 dere di rendere conto di tutti i contributi mi soffermerò su alcuni nodi
                 problematici del volume: 1) ruoli sociali; 2) rappresentazioni; 3) sfera
                 pubblica e accesso alla politica; 4) modo di pensare i corpi; 5) maschile
                 femminile/alterità.
                    1) I ruoli sociali: sappiamo non sono scontati e da decenni la storia
                 sociale ha dimostrato come nei paesi occidentali, dove la società è
                 divisa in ceti e la nozione di rango onnipresente ma non rigida, la mobi-
                 lità sociale è assicurata dalle stesse istituzioni politiche e religiose –
                 chiesa e stato – oltre che dalla circolazione di uomini, merci e denaro.
                 Ma può dirsi lo stesso per i ruoli di genere? È’ indiscutibile che la dif-
                 ferenza di genere contribuisca a plasmare, a definire e ridefinire i ruoli
                 sociali assieme all’età, all’appartenenza sociale ed etnica, al livello di
                 ricchezza. Ma in che misura essa è storicamente modulata e in che
                 misura si iscrive in un ordine diciamo “naturale” segnato più dalle con-
                 tinuità che dai cambiamenti?
                    Molti cantieri di ricerca negli ultimi decenni del secolo scorso hanno
                 legato il tema del rapporto maschile/ femminile nel contribuire a confi-
                 gurare i ruoli sociali a quelli dei diritti di proprietà delle donne, della dote
                 e a quello della patria potestà maschile. Giulia Calvi e Isabelle Chabot
                 nella premessa al volume miscellaneo Le ricchezze delle donne Diritti patri-
                 moniali e poteri familiari in Italia (XIII–XIX secc.) (Rosenberg & Sellier,
                 Torino, 1998) partono da una citazione di Ulpiano: «Una donna è princi-
                 pio e fine della propria famiglia, ha figli ma non eredi», e però offrono una
                 immagine sfaccettata e variabile della plurisecolare persistenza di norme
                 giuridiche tese a limitare l’accesso delle figlie dotate alla eredità e a
                 imporre vincoli a mogli e vedove nella trasmissione dei beni. Il Codice
                 Napoleonico modificò questa disuguaglianza riconoscendo alle figlie diritti
                 uguali a quelli dei figli ma con la Restaurazione, sebbene le norme incor-
                 porassero elementi della legislazione napoleonica, si cercò di tornare agli
                 ordinamenti prerivoluzionari e solo con il codice Pisanelli del 1865 le
                 donne in Italia uscirono dalla loro plurisecolare marginalità successoria.
                    In questo volume l’approccio ai ruoli sociali, anche in coerenza con il
                 taglio multidisciplinare adottato, è orientato a focalizzare piuttosto casi
                 di studio in cui le donne superano la loro posizione residuale e a centrare
                 il tema delle loro capacità culturali. Tre esempi calzanti sono quelli al
                 centro dei primi tre saggi. Nel primo si tratta di Elena Balletti che, figlia


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Aprile 2019      n.45
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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