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370 Rossella Cancila
facilmente anche per i più poveri, sia in estate sia in inverno, utiliz-
zando «qualsivoglia altra cosa odorifera, di poco prezzo per li poveri,
come rosmarino, lavandola, puleggio, lauro, cipresso, salvia, et lenti-
sco, menta, citraria tamarisco, origano, et scorza di naranci, pomi, co-
togni, pere, cedri, limoni, et altri simili frutti o fiori, o ver piante odo-
rifere» .
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Ingrassia fa riferimento all’uso da parte dei più ricchi di vasi utiliz-
zati per profumare le camere, chiamati cazzolette, dove venivano inse-
rite le essenze («et altri trocischi odoriferi, i quali sogliono fare i pro-
fummieri») con gocce di acqua nanfa (acqua profumata estratta per
distillazione dai fiori di arancio) o di acqua degli angeli (acqua aroma-
tica ai fiori di mirto). Comunemente si utilizzava un “pignattello”, ma
il procedimento era lo stesso: riscaldate dal fuoco, le essenze disper-
devano il loro fumo odorifero, che mescolandosi con l’aria della stanza,
la alterava e purificava, «levando via ogni sospetto di corrottione o di
mala alteratione humida» . Bisognava porre attenzione alla diversità
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stagionale, curando di mescolare «le cose calde aromatiche con le
fredde, per contemperare, benché l’inverno debbano avanzare le calde,
l’estate le fredde» , nel rispetto delle contrapposizioni fondamentali
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della medicina umorale (caldo e freddo, umido e secco, interno ed
esterno).
Si trattava sempre di ingredienti facili a trovarsi, di uso comune, che
dovevano non solo purificare l’aria, ma anche giovare all’umore perso-
nale, al cuore, e pure al cervello, nella convinzione che la percezione
sensoriale potesse essere di conforto e comunque positiva per le per-
sone. Era infatti convinzione di molti che la peste colpisse cervello, fe-
gato e cuore e che dunque questi organi fosse necessario in qualche
modo preservare. A questo scopo il medico siciliano descrive «certe palle
di cipresso o di altro legno odorifero», lavorate al tornio e forate, apribili
al centro per potervi inserire un pezzo di spugna infusa in acqua di rose,
aceto, vino aromatico (moscatello o malvasia) con un po’ di cannella,
garofani, macis, noce moscata, tre grani di canfora, con l’aggiunta in
34 G.F. Ingrassia, Informatione cit., parte III, cap. II, p. 421 [5]. Su queste erbe e il
loro uso in medicina nel Cinquecento, si veda Pietro Andrea Mattioli (1501-1578), che
nel 1544 pubblicò la principale traduzione italiana dell’opera De materia medica di Dio-
scoride (I sec. d.C.) (Di Pedacio Dioscoride Anarzabeo Libri cinque Della historia, et mate-
ria medicinale tradotti in lingua volgare italiana). Sulla grande notorietà del medico se-
nese e sulla diffusione delle edizioni sempre rinnovate del suo Dioscoride, cfr. C. Preti,
Mattioli, Pietro Andrea, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 72, Istituto della Enciclo-
pedia Italiana, Roma, 2008, ad vocem. Si veda anche se di epoca successiva Francesco
Sirena, L’arte dello spetiale, Venezia, 1680.
35 G.F. Ingrassia, Informatione cit., parte III, cap. II, p. 421 [5]. (Su questi profu-
mieri, spesso veri e propri oggetti d’arte, cfr. S. Cavallo, T. Storey, Healthy Living cit.,
pp. 99-103.
36 G.F. Ingrassia, Informatione cit., parte III, cap. II, p. 422 [5].
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)