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Prevenzione e benessere in tempo di peste: cura della persona e dietetica... 373
indicava una preferenza per quelli che si potevano lavare più facil-
mente, «come camice, fazzoletti, cuffie et simili, parimente lenzuola et
altre coverte». Lane, lini, cotone, sete, in genere tutti i tessuti specie se
con pelo, così come le pelli (più sicure le conciate), piume e penne,
ricevevano e conservavano l’infezione della peste. Lo stesso vale per la
carta, fatta di pezze di lino, peggio se i fogli erano legati con filo o
spago: per questo era necessario purificarla con l’aceto e poi esporla
al sole per renderla sicura.
Riguardo alla cura del corpo, il medico consigliava a livello preventivo
di lavarsi con acqua di rose e aceto, specialmente il viso, le mani e i polsi
prima di uscire di casa. Raccomandava l’uso del sapone comune per i
poveri e del sapone moscato per i ricchi, i quali potevano aggiungere alla
loro lavanda della «buona cannella, noce moscada, garofani, acqua rosa,
acqua nanfa, o ver acqua d’angeli» . Ai più poveri, che non potevano
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permettersene l’acquisto, suggeriva di lavarsi con dell’acqua calda nella
quale fossero state cotte in tutto o in parte «rose viole, rosmarino, lauro,
cipresso, foglie et scorze di cedri, o almen di aranci, o di limoni, maggio-
rana, mortella, basilico, scorze di pomi» con l’aggiunta di vino e aceto.
Buona norma igienica era radersi i capelli, la barba e le altre parti del
corpo eliminando i peli più lunghi, come possibile «poiché questa rasura
è un poco difficile, et per le donne inhonesta» .
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Va ricordato che all’epoca l’igiene veniva concepita non tanto in ter-
mini di pulizia del corpo quanto di rimozione delle impurità che si ac-
cumulavano al suo interno . Il medico rivolge pertanto una notevole
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attenzione all’evacuazione degli escrementi e alla necessità di mante-
nere lubrico il corpo, per non lasciar «aggregare superfluità in esso»,
sulla base del principio che i cattivi umori dispongono il corpo a rice-
vere il contagio. Soprattutto in inverno, quando Ingrassia consigliava
l’assunzione delle «pillole di Ruffo», chiamate anche pillole della vita,
di cui esistevano varie composizioni, ritenute dalla medicina dell’epoca
assai efficaci per preservarsi dalla peste: ne bastava una ogni mattina
con un buon sorso di vino aromatico temperato con acqua di rose op-
pure con acqua di acetosella o di melissa .
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46 Il sapone poteva essere semplice o aromatico, molle o duro, ma la sua composizione
non era di poca importanza in quanto i medici lo utilizzavano non solo per la detersione
delle mani, della testa e del corpo, ma anche per fratture, vesciche, come purificatore del
naso e per rimedi contro il catarro (G.F. Ingrassia, Costituzioni cit., p. 81).
47 G.F. Ingrassia, Informatione cit., parte II, cap. V, p. 242 [164].
48 S. Cavallo, T. Storey, Healthy Living cit., p. 240, che dedicano un capitolo all’ar-
gomento.
49 Sull’acqua acetosella il napoletano Giuseppe Donzelli scriveva: «oxalida e aceto-
sella sono una medesima cosa […] Bevuta e applicata di fuori rinfresca il sangue, il
fegato e la milza. Nei tempi pestilenziali, tutti gli elettuarii contro la peste e la teriaca e
il mitridato istesso si pigliano con quest’acqua. Rimette il fervore de’ morbi caldi, giova
alla vista, e mitiga il dolore del capo, è ottima alle mammelle infiammate; leva il deliquio
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)