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378 Rossella Cancila
salato in quantità moderata e «purché non sene facci tutto il pasto,
come sogliono fare i poveri»: sarde (anchiovi), alici, uovo di tonno, bot-
targa, caviale, e simili, erano esempi di pesce conservato di forte con-
notazione popolare, in grado di garantire un minimo di apporto pro-
teico alle fasce più deboli della popolazione, ma al tempo sicuramente
di ampio consumo .
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Dichiara invece di aver «fatto bandire per tutto questo regno» il
farro, «il quale è più tosto farina di orzo con le scorze, pieno di polvere
et spesso ancora di ragne et ragni, et di formiche vive et morte, scara-
fagghi et di mille altre poltronarie», purtroppo destinato prevalente-
mente ai pazienti poveri, tanto che Ingrassia si meraviglia che non
muoiano subito con preparati «di quelle bruttezze» . Si tratta di indi-
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cazioni interessanti che testimoniano attenzione e preoccupazione per
la qualità e la salubrità degli alimenti, specie se si trattava di ingre-
dienti di medicamenti o se utilizzati dalla povera gente: ad esempio lo
zucchero, alimento «assai importante per la vita nostra et salute degli
ammalati», che i padroni dei trappeti spesso mescolavano con la calce,
alterandone la qualità in modo assai pericoloso per la salute. Già in
altre occasioni – nella convinzione che la «corrottione de’ cibi» agisse
da concausa nella diffusione delle epidemie – aveva sollecitato controlli
sulla buona qualità del pane («a Palermo non vi si trova pane buono»),
spesso preparato con frumento bagnato, comminando «irremissibile
castigo a quelli che vi mettono acqua, acciò cresca il formento» .
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Indubbiamente la sua attitudine è quella del medico e con questo
habitus si avvicina al cibo senza mai dimenticare che lo scopo di una
corretta alimentazione è di prevenire la malattia, predisponendo il
corpo a reagire nel modo migliore alla sua minaccia e mantenendolo
pertanto in salute. Non ci sono insomma fughe in avanti, e il suo in-
segnamento si connette alla tradizione, pur con una certa elasticità e
con lo sguardo rivolto alla concretezza della realtà, aspetto questo co-
munque rilevante che accorcia le distanze tra abitudini alimentarsi e
discorsi medici sul cibo. D’altra parte, Ingrassia – come si è detto – si
colloca in una fase di generale reinterpretazione dei dogmi del passato,
ma il suo stile pur austero e rigoroso lo mantiene in una posizione di
Mafrici (a cura di), Storie connesse. Forme di vita quotidiana fra Spagna e Regno di Napoli
(secoli XVI-XVIII), Guida, Napoli, 2018, pp. 103-118; e di G. Sodano, Alla tavola del no-
bile. Il cibo nell’uso sociale dell’aristocrazia napoletana dell’età moderna, «Archivio sto-
rico per le province napoletane», vol. CXXXVI/2018, pp. 99-115.
64 Cfr. M. Sentieri, Cibo e ambrosia: storia dell’alimentazione mediterranea tra caso,
necessità e cultura, Dedalo, Bari, 1993, pp. 215-217.
65 G.F. Ingrassia, Informatione cit., parte IV, cap. XXXIV, p. 621 [195].
66 Id., Trattato assai bello e utile di doi mostri nati in Palermo… Aggiontovi un ragio-
namento fatto in presenza del magistrato sopra le infermità epidemiali e popolari successe
nell'anno 1558 in detta città, Palermo, G.M. Mayda, 1560, cc.nn.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)