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Prevenzione e benessere in tempo di peste: cura della persona e dietetica... 377
prima non si è digerito il primo; 2) non si mangi troppo la sera in modo
che lo stomaco resti un po’ libero; 3) si preferiscano cibi ben digeribili;
4) il bere sia parco e inferiore al cibo che si ingerisce; 5) si mangi la
frutta al momento giusto evitando quantità eccessive; 6) si eviti la va-
rietà dei cibi, preferendo la semplicità. Insomma, consigliava di man-
tenersi leggeri la sera per favorire la digestione, preferendo la qualità
del cibo alla quantità, limitando ogni pasto a tre cibi solamente e be-
vendo del buon vino, ma con moderazione e mai a digiuno. Si mangi
poco dei cibi cattivi, e molto e spesso di quelli buoni «per compiacer
qualche volta alla rabbia de’ golosi, i quali non vogliono obligarsi a
regole medicinali».
Il medico raccomandava dunque anche il piacere, «la dilettazione»
nel mangiarli, perché avendone desiderio e gusto «lo stomaco gli ab-
braccia et digerisce meglio», convertendoli in buon nutrimento. Senza
però mai esagerare. Le prescrizioni alimentari di Ingrassia danno la
sensazione che egli sia attento al gusto e che sia un fautore del buon
cibo e del mangiare bene, consentendo anche qualche cauta apertura
ad alimenti meno sani, ma tipici della tradizione siciliana. È possibile
che la frequentazione di Ferrara tra il 1532 e il 1536, dove il suo mae-
stro Giovanni Manardo insegnava, lo abbia messo a contatto con una
tradizione medico-culinaria particolarmente raffinata che aveva in Mi-
chele Savanarola uno degli esponenti più noti, medico autorevole alla
corte estense, che peraltro lo stesso Ingrassia cita nel suo trattato sep-
pur in un contesto diverso. Autore di un Libreto de tutte le cosse che
se magnano, composto probabilmente nel 1452, Savanarola indicava
non solo i cibi più utili, ma anche quelli più gradevoli, che se nocivi
potevano essere comunque corretti con i condimenti o con la cottura .
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Così, seppur «vituperabili», le parti estreme degli animali macellati
(piedi, orecchie, muso) con cui si faceva la gelatina, erano ammissibili
con moderazione qualche volta con aceto e spezie aromatiche. «Cattive»
invece le frattaglie come budella e milza, il cui consumo era però assai
popolare soprattutto a Palermo. Si tratta di cibi particolarmente diffusi
tra tutti gli strati sociali ed entrati nella tradizione culinaria siciliana .
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Emerge d’altra parte proprio sul consumo della carne la grande di-
stanza che doveva esserci tra l’alimentazione raffinata dei ceti più fa-
coltosi e quella del popolo . Non riteneva disdicevole cibarsi di pesce
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61 K. Albala, Eating Right in the Renaissance cit., p. 173.
62 H. Bresc, Il cibo nella Sicilia medievale, Palermo University Press, Palermo, 2019,
pp. 79, 81, 86. Si veda anche D. Santoro, Salute dei Re, salute del Popolo. Mangiare e
curarsi nella Sicilia tardomedievale, «Anuario de Estudios Medievales», 43 (2013), pp.
259-289, che utilizzando documentazione archivistica ricostruisce metodi, usi e prati-
che curative e alimentari di sovrani e isolani nel tardo medioevo siciliano.
63 Per l’ambito napoletano, cfr. i saggi di R.M. Delli Quadri, Il cibo dei ricchi e il cibo
dei poveri. La cucina napoletana tra vita di corte e vita di strada, in R.M. Delli Quadri, M.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)