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                dinanza romana dal 1516, prima data oggi disponibile – e con evidente
                sfasatura cronologica tra le due serie. Questi documenti ufficiali si li-
                mitavano a poche righe (intorno alle cinque), in cui il notaio identifi-
                cava l’intestatario dell’emancipazione attraverso il nome ricevuto alla
                nascita, quello assunto dopo il battesimo per i neofiti, la provenienza,
                i passaggi di proprietario, i luoghi rilevanti e, ma non sempre, una
                sintetica descrizione fisica .
                                         16
                   Il confronto tra queste due serie, svolto per ora a campione per i
                decenni in cui entrambe son sopravvissute fino a noi, svela qualcosa
                in più sul meccanismo, sulle sue logiche interne e sulle scelte di volta
                in volta compiute nell’implementazione della normativa. Tale compa-
                razione, per quanto ancora non sistematica, apre la via a considera-
                zioni  sia  sulla  gestione  interna  delle  richieste  che  approdavano  in
                Campidoglio sia, d’altro canto, proprio sulla differenza e sul modo in
                cui veniva osservata e rappresentata dai notai. Questi testi, che dove-
                vano permettere l’identificazione univoca del soggetto titolare del pri-
                vilegio, obbligavano i loro autori a una continua composizione e scom-
                posizione di quanto sapevano su mondi e culture lontane nel momento
                in cui, proprio grazie ai loro scritti, la società cristiana si preparava ad
                integrarli formalmente. Era un percorso difficile e irto di ostacoli, in
                cui, inevitabilmente, a un certo punto, ciò che risultava un po’ più
                altro nella scala della diversità comunemente accettata finiva per su-
                scitare dubbi e creare problemi. Vediamo un esempio concreto per ca-
                pire perché.
                   Il 16 luglio del 1660, i Conservatori deliberarono l’emancipazione di
                «Nicolaus Schiattinus de Biserta», che, stando al testo della restitutio,
                risultava  aver  preso  il  nome  del  padrone  genovese,  pur  essendo,  a
                quanto pareva, nato cristiano nel porto corsaro sulle coste tunisine .
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                I primi contatti di Nicolao con il Campidoglio risalivano, però, al 9 feb-
                braio 1659 e cioè al momento in cui Georgius Bustronius, uno dei notai
                segretari dei Conservatori, aveva iniziato a validare la sua documen-
                tazione. Il fascicoletto di Nicolao comprendeva un certificato rilasciato
                nella  basilica  di  s.  Pietro  che  attestava  come,  di  frequente,  questi
                avesse assistito alla messa e si fosse confessato regolarmente. Ad ar-
                ricchire la cartella, due testimonianze giurate, la prima relativa al suo
                periodo  palermitano  e  la  seconda  a  quello  genovese,  che  riportava


                   16   Per  una  prima  presentazione  della  fonte  e  della  vicenda,  vedi  di  chi  scrive,  Le
                Restitutiones ad libertatem di schiavi a Roma in età moderna: una ricerca su un fenomeno
                trascurato (1516-1645), in «Dimensioni e problemi della ricerca storica» (2013), pp. 26-
                52. Per una discussione ampia della questione, mi permetto di rimandare ora al mio I
                confini della salvezza. Schiavitù, conversione e libertà nella Roma di età moderna, Roma,
                Viella, 2022.
                   17  Cred. 11, t. 21, cat. 0838, strag. 97, c. 177v.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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