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Scrivere l’altro. Una ricerca in corso sulla costruzione delle differenze... 321
uomini e donne operavano abitualmente attraversando contesti cultu-
rali diversi: il latino giuridico delle amministrazioni, della cultura e
della Chiesa cattolica; i volgari parlati, scritti e stampati nella vita quo-
tidiana; i dialetti locali; le lingue confessionali, da quelle delle Bibbie e
dei salteri riformati nel mondo cristiano, all’ebraico e al ladino in
quello ebraico fino alla lingua franca dei viaggi, del commercio e della
pirateria . In una cornice così instabile e frastagliata, il polilinguismo
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va considerato tra i motori che entrarono in gioco nell’interazione tra
diseguali anche attraverso la produzione documentaria e normativa,
in cui il passaggio dall’oralità alla scrittura implicava operazioni com-
plesse di adattamento, ripensamento e traduzione funzionale. Vale per
il caso illustre di Menocchio sotto processo tra latino e volgare, come
per molti altri. E, del resto, la stessa categoria delle contact zones avan-
zata da Marie Luis Pratt nel 1991 nasceva a partire dall’analisi attenta
del vocabolario spurio della celebre Nueva coronica y Buen Gobierno di
Guaman Poma del 1613. Quella definizione, che faceva tesoro delle
riflessioni sull’autoetnografia e sulle asimmetrie della società coloniali,
puntava a mettere in luce la struttura ambivalente dei processi di co-
struzione di comunità e, nel farlo, apriva la via a ulteriori quesiti sui
percorsi di elaborazione delle appartenenze tra conquista e conver-
sione .
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Per quanto empirici e incerti, questi incontri costituirono prassi or-
dinaria e coinvolsero un largo ventaglio di attori in luoghi diversi, Eu-
ropa inclusa, sempre in relazione squilibrata tra loro: da una parte, i
detentori del potere politico e della forza; dall’altra coloro a cui, per
qualunque motivo, fossero preclusi l’accesso al primo e/o l’esercizio
della seconda. Le minoranze religiose si collocavano, ovviamente, nel
gruppo degli esclusi. Variamente regolata e accettata, più o meno
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visibile e riconoscibile secondo i casi, la presenza di persone di altra
fede si collocava comunque ai margini degli spazi decisionali della
maggioranza e implicava la promessa di un cambiamento in caso di
conversione. Senza sorprese, ad esempio, il modello spagnolo, atten-
tamente studiato da Tamar Herzog, rivela come il battesimo fosse pre-
requisito indispensabile per l’ingresso nella comunità ma, di per sé,
11 P. Burke, Lingue e comunità nell’Europa moderna, Il Mulino, Bologna, 2004.
12 «I use this term to refer to social spaces where cultures meet, clash, and grapple
with each other, often in contexts of highly asymmetrical relations of power, such as
colonialism, slavery, or their aftermaths as they are lived out in many parts of the world
today. Eventually I will use the term to reconsider the models of community that many
of us rely on in teaching and theorizing and that are under challenge today» (M.L. Pratt,
Arts of the contact-zone, in «Modern Language Association» (1971), pp. 33-40; la citazione
è a p. 3).
13 Ma vedi, per una chiara proposta in questa direzione, G. Todeschini, La banca e
il ghetto. Una storia italiana, Laterza, Roma-Bari, 2016.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)