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                zioni, che appaiono particolarmente rilevanti se lette a livello della sto-
                ria sociale.
                   Destinatari delle sue Constitutiones (1564) erano dunque tutti co-
                loro che esercitavano a vario titolo l’arte medica: «medici, fisici, chirur-
                ghi, speziali barbitonsori», ma egli si riferisce in modo esplicito anche
                a ostetriche, veterinari, curatori e aromatari. L’esplicita menzione di
                quelli che volgarmente venivano chiamati cirauli (guaritori) come an-
                che di drueri e merceri – che vendevano aromi e medicamenti vari sia
                «nelle botteghe, sia con sporte o cassette o stacci, girando per i vari
                luoghi del regno, o sedendo in sedili pubblici o nei mercati o in qual-
                siasi altro modo, vendono, operano o esibiscono»  –, ci testimonia an-
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                cora una volta la pluralità degli spazi della cura, la dilatazione della
                domanda e dell’offerta e ci rivela una realtà assai ampia a livello sociale
                anche in Sicilia in cui pratiche non standardizzate rispetto alla medi-
                cina  ufficiale  erano  largamente  diffuse.  Evidentemente  Ingrassia  ne
                aveva piena consapevolezza e sapeva che occorreva integrare e disci-
                plinare anche queste espressioni tradizionalmente considerate ai mar-
                gini se non al fuori dell’arte medica. Si tratta di un fenomeno che –
                come si è detto – la letteratura medica negli ultimi anni ha indagato
                con attenzione e curiosità a conferma di quanto gli spazi e il mercato
                della cura fossero ampi e molteplici. Profumieri, erboristi, distillatori,
                saponari,  confettieri  e  «mercanti  di  ghiottonerie»  citati  da  Ingrassia
                rappresentavano inoltre un fronte di contatto tra competenze diverse,
                in cui poteva esserci posto per la botanica, la chimica, ad esempio,
                persino per l’astrologia e la magia. Ma anche un terreno di incontro
                tra cura e benessere.
                   Ingrassia, pur distante da pratiche superstiziose, oltre che grosso-
                lane, considerò con interesse questo mondo così articolato, ma lo di-
                stinse da quello proprio della professione medica, sia della medicina
                fisica,  sia  chirurgica.  La  farmacopea  poteva  però  rappresentare  un
                campo pratico efficace di confronto. Egli stesso dichiara di avere in
                progetto una pubblicazione sul tema , cui dedicò spazio non solo nelle
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                Constitutiones, ma anche nell’Informazione del pestifero e contagioso
                morbo. Anche su questo versante dimostrò acume e spirito innovativo
                non tanto sul piano teorico quanto su quello empirico, e – fondandosi
                sull’osservazione e sull’esperienza – ampliò il campo di impiego di ri-
                medi già in uso. Accordò così debita importanza alla professionalità
                dello speziale , fissando delle regole tariffarie per le medicine semplici
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                   17  Cfr. G.F. Ingrassia, Costituzioni e capitoli e giurisdizioni cit., p. 81.
                   18  Ivi, p. 156.
                   19  Ritenne opportuno che le attività di medico e speziale dovessero rimanere sepa-
                rate,  e  vietò  che  i  medici  potessero  possedere  proprie  spezierie,  pur  riconoscendo  la
                complementarità delle loro funzioni. Sulla normativa in merito, cfr. D. Santoro, Lo spe-
                ziale siciliano tra continuità e innovazione: capitoli e costituzioni dal XIV al XVI secolo,



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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