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Ferrante d’Aragona: un figlio naturale per il trono di Napoli 707
ribelle città di Cosenza da parte delle truppe favorevoli al re . Filippo
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De Lignanime nella biografia di Ferrante, di cui era coetaneo, osserva
a sua volta che da adolescente egli era interessato soprattutto allo stu-
dio dell’eloquenza, a cui era perciò funzionale la conoscenza approfon-
dita del latino .
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Con i connazionali Ferrante, che non apprese mai completamente
la lingua volgare, era solito parlare in catalano o in castigliano e
quando doveva scrivere «di proprio pugno a persona amica, adoperava
un ibrido linguaggio, commisto di voci napoletane e spagnole, in uno
stile rozzo, asintattico, affatto personale». È stato autorevolmente sot-
tolineato come la sua straordinaria facilità di apprendimento, ricono-
sciutagli dagli umanisti che gravitavano attorno ad Alfonso, andasse
comunque ricondotta, al netto degli evidenti toni adulatori, alla «intel-
ligenza pronta, memoria tenace, mente riflessiva, […]: doti e virtù che
riempivano di compiacenza e di orgoglio suo padre» .
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Durante gli anni giovanili il figlio naturale del Magnanimo prestò
molta cura anche agli esercizi fisici, finalizzati in particolare all’adde-
stramento militare, che, al pari dei rampolli delle famiglie reali e alto-
locate in genere, avrebbe ulteriormente perfezionato mediante le ricor-
renti partecipazioni a giostre e tornei. In tali competizioni, dove era
impegnato spesso a fianco del padre, secondo i cronisti locali Ferrante
avrebbe dato prova della notevole abilità acquistata grazie appunto
alle precedenti assidue esercitazioni.
Sull’esempio del genitore, un’attività coltivata con passione sin
dall’adolescenza dal figlio del Magnanimo fu la caccia, che avrebbe
praticato poi frequentemente in età adulta nelle numerose tenute a lui
riservate. Dalle aree destinate all’attività venatoria, Ferrante cercava
di tenere lontani i bracconieri con la minaccia di severe punizioni, che
infliggeva senza pietà a coloro che osavano eludere i suoi divieti. «Di
quelli, che ammazzavano un cervo, o un porco selvaggio, ovvero una
capra, in pubblico, o in segreto – afferma il Summonte sulla base di
testimonianze coeve – altri ne mandava in galera, ad altri ne faceva
tagliar le mani, altri fe’ impiccare». Colpiva inoltre con pesanti pene
anche quanti vi raccoglievano ghiande e pomi, «li quali volea fussero
conservati per cibo alle fiere» per garantirne la sopravvivenza e potere
così incrementare la selvaggina disponibile per la caccia .
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19 G. A. Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli cit., Libro VI, pp. 326-327;
343-345, 385-386.
20 F. De Lignamine, Inclyti Ferdinandi regis vita et laudes, in Nuova Raccolta di Opu-
scoli di Autori siciliani, Palermo MDCCXVI, Anno VIII, pp. 149-197.
21 E. Pontieri, Per la storia del regno di Ferrante I cit., pp. 35-39.
22 G. A. Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli cit., pp. 625-626.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)