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Ferrante d’Aragona: un figlio naturale per il trono di Napoli 709
particolare di due dei principali di loro cioè «del principe di Taranto, e
del conte di Nola, che quando vedevano gli eventi sul punto di conclu-
dersi, si ammorbidivano, e con variopinte maniere deviavano dallo
scopo della guerra, che era la vittoria» . Il cronista spagnolo, ripren-
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dendo il brano di una lettera inviata dallo stesso Alfonso nel dicembre
1438 al duca di Milano , pone perciò opportunamente in evidenza un
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aspetto che sembra ricorrente nella guerra di successione al trono di
Napoli, vale a dire l’ostruzionismo dei baroni. Essi, al pari peraltro dei
condottieri, avevano infatti tutto l’interesse a prolungare il conflitto per
i vantaggi che riuscivano a conseguirne in termini di concessioni sem-
pre più cospicue strappate ai pretendenti al trono, che una volta ter-
minate le operazioni militari non avrebbero invece più avuto impel-
lente bisogno del loro supporto e ne avrebbero perciò ridimensionato
il ruolo.
Con un bilancio militare complessivamente favorevole al duca d’An-
giò si concludeva il 1438, anno in cui Ferrante era arrivato a Napoli.
Renato infatti in pochi mesi «aveva ricuperato il Ducato di Amalfi; la
maggior parte delle terre e città dell’Abruzzo, della Capitanata, della
Basilicata e della Calabria ubbidiva a lui» . La prosecuzione dell’an-
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damento positivo delle operazioni militari era però subordinata al pos-
sesso di denaro, la cui «cronica mancanza» sarebbe stato il punto de-
bole del duca angioino chiaramente in difficoltà di fronte alle richieste
esose dei capitani di ventura che combattevano al suo servizio . La
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stessa capitolazione, nel marzo 1439, di Caivano, che costituiva una
rilevante fonte di rifornimenti alimentari per la capitale, era indicativa
di una incipiente inversione di tendenza del conflitto, che si sarebbe
accentuata nei mesi successivi. Per recuperare le posizioni perdute,
Renato chiese a Jacopo Caldora di venire in suo soccorso ma il con-
dottiero sapendo che non vi era disponibilità monetaria, dal momento
che suo fratello Raimondo aveva dovuto prestare all’Angiò «alcuni mi-
gliara de ducati […] per levare la gente d’arme», pretese in cambio la
concessione del castello di Aversa, richiesta che non venne accolta .
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Fallito il tentativo di arrivare a un compromesso a lui favorevole
attraverso la mediazione del re di Francia, Renato pensò di distogliere
25 G. Zurita, Anales de la Corona de Aragón cit., Libro XV, cap. 50, f. 253v.
26 Aca, Cancillería Real, Reg. 2694, f. 134r. «Quando vedono gli affari in procinto di
conclusione, tergiversano e con diverse maniere deviano dallo scopo di detti affari».
27 N. Faraglia, Storia della lotta tra Alfonso V e Renato d’Angiò, Barabba, Lanciano
1908 cit., p. 160.
28 G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), in
Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Utet, Torino, 1992, vol. XV, t. I, pp 579-580.
29 Diurnali detti del Duca di Monteleone cit., p. 107. Il duca d’Angiò, «vedendosi malo
parato […] fece assignare da sua parte il castello di Aversa a Santo de Mataluni, Conte-
stabule de infanti» di Caldora.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)